La rete di imprese che governa il mondo

Tutti abbiamo ancora davanti gli occhi gli scontri avvenuti a Roma durante la manifestazione degli Indignati, lo scorso sabato (vedi Galileo, “Il buonsenso, gli indignati e la violenza del paleolitico“). Una drammatica pagina di cronaca che ha relegato in secondo piano le motivazioni della protesta: gli Indignados scendono in strada in tutto il mondo per denunciare lo strapotere di un pugno di corporazioni, colpevoli, secondo loro, di aver portato l’economia al collasso. Per questo chiedono nuove idee, nuove regole, nuovi criteri di distribuzione della ricchezza. Hanno ragione? A quanto pare sì, e questa volta a dirlo non sono politici, sociologi o economisti, ma scienziati. 

In uno studio, che verrà presto pubblicato sulle pagine della rivista PLoS One, un gruppo di ricercatori dello Swiss Federal Institute of Technology ha analizzato la complessa rete di rapporti che lega migliaia di multinazionali. E ha scoperto che, tra queste, appena 147 (soprattutto banche) detengono il 40% del potere economico globale. Quindi, alla fine dei conti, le paure degli Indignados non sembrerebbero poi così campate in aria, al di là di qualsiasi semplificazione ideologica. 

“La realtà è molto complessa – ha detto al New Scientist James Glattfelder, uno degli autori dello studio –  e dobbiamo liberarci dai condizionamenti ideologici, siano teorie di cospirazione o di libero mercato. La nostra analisi è basata su dati concreti”. In effetti, i ricercatori svizzeri hanno raccolto informazioni su migliaia di multinazionali analizzando i dati con modelli matematici normalmente applicati allo studio del mondo naturale. Così facendo, sono riusciti a mappare l’intricata rete di connessioni (chi possiede chi e in quale misura) che lega tra loro corporazioni di tutto il mondo, scoprendo che a far girare l’economia sono davvero in pochi. 

In realtà, altri studi avevano già dimostrato che il cuore del potere economico globale è concentrato nelle mani di pochi attori, ma questo sembra essere il più completo: oltre ad analizzare un campione molto ampio, infatti, ne mette a nudo tutti i rapporti, diretti e indiretti. Il database da cui i ricercatori svizzeri hanno raccolto le informazioni sulle multinazionali si chiama Orbis 2007 e racchiude circa 37 milioni di compagnie in tutto il mondo. Tra queste, ne sono state scelte solo 43.060, cioè le vere e proprie multinazionali. 

Dall’analisi delle loro relazioni, è venuto fuori un gruppo di 1.318 corporazioni intimamente interconnesse (ognuna è legata, direttamente o meno, ad altre 2 o più compagnie). Questo gruppetto di multinazionali controlla la maggior parte delle società ad alta capitalizzazione azionaria e delle firme manifatturiere, il potere economico cui si ascrive il 60% dei ricavi operativi globali. 

Ma scavando ancora più a fondo, i ricercatori hanno tirato fuori il vero zoccolo duro dell’economia: 147 compagnie super connesse che controllano quasi la metà della rete. “In effetti, meno dell’1% delle multinazionali ne controlla il 40%”, ha sottolineato Glattfelder. Ma chi sono queste superpotenze? Soprattutto istituti finanziari: per esempio Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co, The Goldman Sachs Group e UniCredit SPA (per una lista completa delle top 50 si veda in fondo all’articolo). 

Dov’è il pericolo se un piccolo numero di persone ha in mano quasi tutto il potere? In economia, come spiega John Driffill dell’Università di Londra, la concentrazione del potere non è di per sé né giusta né sbagliata. Il problema sono le connessioni interne: se la rete ha poche, concentrate maglie, l’economia è in pericolo. “Se un compagnia fallisce – afferma Glattfelder – il malessere si propaga”. In altre parole, una rete compressa significa un’ economia instabile. Ecco perché i ricercatori svizzeri rivendicano l’importanza dei risultati del loro studio: conoscendo l’architettura del potere economico globale, infatti, si può arginare il collasso intervenendo là dove la rete è più debole (tagliando alcune connessioni e coinvolgendo nuovi soggetti per costruirne di nuove). Lo stesso Glattfelder ipotizza regole anti-trust internazionali che, al pari di quelle nazionali, limitino il numero di rapporti tra multinazionali. 

Yaneer Bar-Yam, a capo del New England Complex Systems Institute (Necsi), suggerisce un’altra soluzione: tassare le multinazionali che superano un certo limite di relazioni, così da scoraggiarle. Anche se è lui stesso a sottolineare che l’analisi dei ricercatori svizzeri è viziata da un errore, cioè dare per scontato che se una società ne possiede un’altra allora la controlla, un’equazione non sempre vera. Comunque sia, la realtà dei fatti è innegabile: la ricchezza del mondo è nelle mani di pochi. E tutti sospettano che questi pochi resisteranno il più strenuamente possibile alle perturbazioni esterne, cioè a qualsiasi tentativo di modificarne la struttura con nuove regole economiche. 

Le prime 50 delle 147 multinazionali super-connesse

1. Barclays plc; 

2. Capital Group Companies Inc; 

3. FMR Corporation; 

4. AXA; 

5. State Street Corporation; 

6. JP Morgan Chase & Co; 

7. Legal & General Group plc; 

8. Vanguard Group Inc; 

9. UBS AG; 

10. Merrill Lynch & Co Inc; 

11. Wellington Management Co LLP; 

12. Deutsche Bank AG; 

13. Franklin Resources Inc; 

14. Credit Suisse Group; 

15. Walton Enterprises LLC; 

16. Bank of New York Mellon Corp; 

17. Natixis; 

18. Goldman Sachs Group Inc; 

19. T Rowe Price Group Inc; 

20. Legg Mason Inc; 21. Morgan Stanley; 

22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc; 

23. Northern Trust Corporation; 

24. Société Générale; 

25. Bank of America Corporation; 

26. Lloyds TSB Group plc; 

27. Invesco plc; 

28. Allianz SE 

29. TIAA; 

30. Old Mutual Public Limited Company; 

31. Aviva plc; 

32. Schroders plc; 

33. Dodge & Cox; 

34. Lehman Brothers Holdings Inc; 

35.Sun Life Financial Inc; 

36. Standard Life plc; 

37. CNCE; 

38. Nomura Holdings Inc; 

39. The Depository Trust Company; 

40. Massachusetts Mutual Life Insurance; 

41. ING Groep NV; 

42. Brandes Investment Partners LP; 

43. Unicredito Italiano SPA; 

44. Deposit Insurance Corporation of Japan; 

45. Vereniging Aegon; 46. BNP Paribas ; 

47. Affiliated Managers Group Inc; 

48. Resona Holdings Inc ; 

49. Capital Group International Inc; 

50. China Petrochemical Group Company.

Via Wired.it

Credit per la foto: Wikipedia

1 commento

  1. Le tre caratteristiche fondamentali della produzione capitalistica sono:
    1) La concentrazione in poche mani dei mezzi di produzione…
    2) L’organizzazione sociale del lavoro … che sopprime, sia pure in forme contrastanti, la proprietà individuale e il lavoro privato.
    3) La creazione del mercato mondiale.
    ….
    Il capitale si manifesta sempre più come una potenza sociale, estranea, indipendente che si contrappone alla società …
    (Marx, Il Capitale, III, 3, 15)

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