La ricerca sale in cattedra

“Non possiamo dire a cosa serviranno i nostri studi. Siamo come coloro che scoprirono enzimi e batteri: mai avrebbero pensato che le loro ricerche avrebbero aperto così tante strade per la ricerca scientifica”. Risponde così Linda Buck, premio Nobel per la Medicina 2004, durante la conferenza stampa organizzata dal Karolinska Institutet il 7 dicembre scorso a chi gli chiede delle possibili applicazioni cliniche delle ricerche condotte insieme a Richard Axel. I due si sono aggiudicati il massimo riconoscimento scientifico grazie ai loro studi sui “recettori olfattivi e l’organizzazione del sistema olfattorio”. Nell’articolo pubblicato a doppia firma nel 1991 i due ricercatori descrissero la vasta famiglia composta da circa mille geni dei recettori olfattivi. Da allora hanno lavorato separatamente descrivendo in diversi studi il sistema olfattorio, dal livello molecolare all’organizzazione delle cellule.L’olfatto è rimasto per secoli il senso meno esplorato. Il naso infatti riesce a distinguere e ricordare circa 10.000 odori diversi. “Come è possibile che la ricchezza del mondo esterno possa essere rappresentata nel sistema nervoso centrale da una manciata di neuroni? Questa è la domanda che ci ha spinti a studiare come lo spazio chimico possa essere rappresentato in quello neuronale”, spiega Axel. E i loro studi dimostrano che gli odori occupano spazi cerebrali simili a quelli attivati dalla vista o dall’udito, con un meccanismo di trasmissione molto complesso.I recettori scoperti da Axel e Buck si trovano nella parte superiore dell’epitelio nasale e individuano le molecole non appena esse vengono inalate. Ciascuna cellula recettrice possiede solo un tipo di recettore olfattivo, e ciascun recettore può individuare un numero limitato di sostanze odorifere. Si tratta quindi di cellule estremamente specializzate che inviano impulsi nervosi ai glomeruli, aree distinte che si trovano nel bulbo olfattivo all’interno del sistema nervoso centrale. Le cellule recettrici che trasportano lo stesso recettore inviano i loro processi nervosi allo stesso glomerulo. Da qui poi le informazioni seguono strade diverse per congiungersi e combinarsi nel cervello a formare un motivo, l’odore finale. In altre parole è come se l’odore venisse scomposto a livello di recettori e poi ricomposto nel cervello. Il “motivo” dell’odore è quello che rimane nella nostra memoria olfattiva e fa si che possiamo ricordare poi il profumo di un fiore o l’odore di una piatto particolarmente succulento.Una ricerca di base, quindi. Di quegli studi – come dice ancora Buck -”senza i quali non sarebbe possibile avere applicazioni cliniche”. Nel loro caso comunque il traguardo dell’applicazione è ancora lontano, ma i due non sembrano curarsene. “La gioia della ricerca è nel processo del ri-cercare, nel cercare nuovamente”, spiega Axel. “E’ questo lo scopo. E l’assenza di finalità fa del poter lavorare nella scienza un privilegio”. La ricerca di Buck e Axel è così “fondamentale” che parla di molte cose insieme: di evoluzione e di cognizione, del sistema nervoso ma anche di emozioni e dell’attrazione sessuale.Essere in grado di individuare cibo commestibile ed evitare alimenti andati a male, oppure avvertire subito la presenza di fumo, e quindi probabilmente di un fuoco nelle vicinanze, è di grande importanza ai fine della sopravvivenza. Se i pesci hanno circa 100 recettori olfattivi, i topi – la specie studiata dai due Nobel – ne hanno circa mille, pari a circa il 5 per cento dell’intero genoma di questa specie. “Negli esseri umani ce ne sono invece solo 350, una parte è infatti andata persa durante l’evoluzione”, spiega ancora Axel. I recettori olfattivi sono lo strumento che l’organismo ha per comunicare con l’esterno e quindi adattarsi all’ambiente: al cambiamento degli stimoli odorosi, infatti, deve corrispondere un atteggiamento adeguato. “Ecco perché questi geni evolvono così rapidamente al variare delle nicchie ecologiche in cui si trova la specie in questione”, sottolinea Axel. Cosa è successo quindi ai recettori umani? Molto probabilmente le funzioni sono portate avanti da proteine diverse, ci sarebbero quindi famiglie differenti di geni che svolgono la stessa funzione. “Un fenomeno bizzarro che deve essere ancora chiarito”, conclude il ricercatore. Ma di punti ancora da chiarire ce ne sono molti. “L’influenza, per esempio, delle informazioni odorose sui comportamenti. Nei topi la risposta istintiva a determinati elementi chimici è forte, ed è stato possibile identificare le aree cerebrali attivate da questi comportamenti. Ci piacerebbe poterlo fare anche per gli esseri umani”, spiega Buck. Legata al comportamento è la questione dei feromoni, il sistema di comunicazione olfattivo che molte specie usano per trasmettere importanti messaggi, non ultimo quello sessuale. “Nei topi abbiamo trovato 200 recettori per i feromoni ma ci sono solo tre geni negli esseri umani che hanno la capacità di riconoscere questi segnali”, spiega Axel. A giudicare dai geni dedicati, quindi, sembra che negli umani la comunicazione odorosa dei feromoni non avvenga, “ma una dimostrazione definitiva in questo senso non è stata ancora data”, concludono i Nobel.

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