La scienza avanza, la legge arranca

Otto dicembre: l’Hfea (Human Fertilisation and Embriology Autority), organo consultivo del governo britannico per gli studi sugli embrioni, dà il suo parere favorevole alla coltivazione di cellule umane per la clonazione di tessuti. Il Regno Unito diventa così il primo paese al mondo a prendere posizione dando un sostanziale via libera a un filone di ricerca che potrebbe portare alla produzione di veri e propri “organi di ricambio” per l’uomo. Appena una settimana dopo, il sedici dicembre, con una conferenza stampa dagli effetti dirompenti tenuta all’Università Kyunghee di Seul, il professor Lee Po Yon annuncia al mondo intero di essere riuscito a clonare il primo embrione umano. E’ vero che l’esperimento è stato interrotto a uno stadio precocissimo di sviluppo, quando l’ovulo si era scisso in sole quattro cellule e prima che raggiungesse uno stadio che, almeno in teoria, avrebbe potuto arrivare il termine della gravidanza. Ma certo, se i loro risultati saranno confermati, il gruppo di medici sudcoreani avrà infranto la barriera più temuta: quella della clonazione umana, scuotendo l’opinione pubblica e riaprendo violentemente il dibattito sulla bioetica.

Abbiamo chiesto un parere a Francesco d’Agostino, presidente del Comitato nazionale di bioetica e filosofo del diritto.

Professore, cosa pensa di quanto è accaduto in Corea?

“La notizia è sensazionale, ma penso che prima di ogni commento si debba verificare la sua veridicità. Gli esperimenti del professor Lee non sono stati pubblicati su nessuna rivista scientifica, né sono il frutto di nessun progetto scientifico particolare. Anche se ha fatto il giro del mondo, la notizia ha ampi margini di inattendibilità. Tanto più che ancora oggi circolano numerosi dubbi persino su esperimenti che l’opinione pubblica dà ormai per certi”.

Comunque, da quando è nata la pecora Dolly, la clonazione di organismi complessi e addirittura dell’uomo è un argomento scottante.

“Sì, ma nel complesso chi si occupa di bioetica rifiuta la clonazione umana. In Europa poi, abbiamo un documento del 1996 (la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina – ndr.) che vieta assolutamente l’uso di embrioni umani a scopi di ricerca. Quanto accaduto a Seul costituirebbe un’esplicita violazione di questo documento, che a tutt’oggi è uno dei più autorevoli esistenti. Il punto non è tanto discutere sulla possibilità o meno di clonare un essere umano, ma di raggiungere uno stadio di conoscenza tale da poter riprodurre organi umani “bypassando” la clonazione dell’embrione. Solo così la produzione in vitro di tessuti a partire da cellule già specializzate risulterebbe slegata da ogni legame etico con la “vita dell’embrione” e assolutamente condivisibile, nel suo intento di salvare delle vite umane”.

Il recente parere della commissione britannica, però, sembra non dare importanza a questa differenza. E la produzione di organi umani per il trapianto a partire da pre-embrioni appare alle porte.

“A livello europeo esiste la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina del 1996, un documento che è ancora oggi un autorevole punto di riferimento legislativo, e non solo per il Vecchio continente. La convenzione, firmata da tredici membri su quindici (solo due paesi non l’hanno sottoscritta ritenendola poco precisa nella tutela dell’embrione umano) impegna gli Stati firmatari a elaborare leggi anche più restrittive dei limiti posti dalla Convenzione (art. 27). In particolare all’ art. 18 si afferma che “la produzione di embrioni umani a fini di ricerca è vietata” e che “qualora la ricerca su embrioni in vitro sia ammessa dalla legge, questa deve assicurare un’adeguata protezione per l’embrione”. Ancora all’ art. 21: “Il corpo umano e le sue parti, in quanto tali, non possono essere fonti di guadagno”. Questo il punto di partenza per le legislazioni dei singoli Paesi. L’Italia manca del tutto di una legislazione sulla biomedicina. Il decreto Bindi del 1997 (adottato in occasione della nascita di Dolly – ndr) è soltanto un atto amministrativo privo di per sé di efficacia di legge. Attualmente è comunque in discussione alla Camera una proposta di legge”.

Oltre che filosofo del diritto, lei è anche un giurista cattolico. Quale pensa debba essere oggi la posizione di un cattolico di fronte a problemi come questi?

“Il dibattito è appena cominciato ma i bioeticisti sembrano soddisfatti dell’interesse che si sta sviluppando trasversalmente attorno a questi temi. La cosa più importante adesso è tenere vivo il dibattito su questi argomenti. Bisogna che tutti sentano la necessità di parlare di questi temi accumunati dal sentimento comune del rispetto della vita. Se è vero che l’etica cristiana ha la sua base nel rapporto uomo-Dio, di fronte ai temi della bioetica penso convenga abbattere gli steccati religiosi, come quelli ideologici e filosofici. Così all’origine della sua riflessione bioetica il cristiano farà bene a considerare soprattutto il rispetto della vita, come valore assoluto e da tutti condivisibile, senza sottolinare il diverso retroterra culturale che giustifica le convinzioni del cristiano rispetto ad altre. Non penso sia bene parlare di bioetica cattolica in senso stretto”.

Scienza e legge. La bioetica sta in mezzo. In due parole, come è possibile ottenere leggi adeguate alle esigenze della ricerca e in linea con le preoccupazioni della gente?

“Al di là del dibattito politico, che influenza sempre la nascita di un testo di legge, credo che per ottenere normative adeguate sia necessario l’apporto costruttivo dell’opinione pubblica. Che però è spesso disorientata da un’informazione poco chiara”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here