La scienza del malcostume

Anche il mondo della ricerca non è esente da frodi. Che si verificano in forma di falsificazione o invenzione dei dati, plagio e distorsione dei risultati. Ma che tipo di punizione subiscono le persone che violano la fiducia della comunità scientifica? Uno studio, pubblicato su Science da due ricercatori della Wayne State University e dell’Università della Pennsylvania, verifica se le “pene” sono commisurate ai “reati” commessi. Barbara Redman e Jon Merz si sono basati sulle investigazioni dello statunitense Office of Research Integritiy (Ori), che ha il compito di registrare i malcostumi degli scienziati nel campo della ricerca biomedica e comportamentale. L’analisi ha coinvolto 43 persone, tutte colpevoli di “cattiva condotta” negli anni tra il 1994 e il 2001. Il risultato? Alcuni scienziati continuano a lavorare in ambito accademico e a pubblicare articoli, ma la maggior parte ha dovuto cambiare lavoro.

Una decina di ricercatori sono infatti rimasti all’interno dell’accademia. Ma 19 persone (quindi anche alcune di quelle che hanno lasciato le università) hanno continuato a pubblicare almeno un articolo l’anno (circa la metà rispetto al periodo precedente alle accuse). Dodici, invece, non hanno più pubblicato nulla.

Le punizioni, secondo i ricercatori, sono state commisurate alla serietà della frode commessa – nel 60 per cento dei casi si tratta di infrazioni multiple. La falsificazione dei dati, il reato più frequente, è anche quello che riceve punizioni più severe, mentre il plagio non necessariamente implica la ritrattazione dello studio. In generale, tutti i colpevoli sono stati allontanati temporaneamente dal Public Health Service, l’ente statunitense per la promozione della salute. Altre sanzioni hanno riguardato l’interruzione di borse e contratti di ricerca (30 casi su 43), nonché la correzione degli articoli fraudolenti (14 casi su 43). Il 58 per cento delle pene si estendeva per 3 anni. (a.g.)

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here