La scienza è di moda. Parola di Seed

Chi ha detto che la scienza non può essere cool? Che una rivista scientifica sottobraccio non può essere uno status symbol? Con questa idea è nata, nel 2001, Seed, la rivista statunitense che si proponeva di fare per la scienza quello che dieci anni prima Wired aveva fatto per la tecnologia, e prima ancora Rolling Stone per la musica rock. Il papà di Seed (più che altro un ragazzo padre) è il ventiseienne Adam Bly. Dopo essere stato un giovane prodigio della scienza canadese (a 16 anni diventò il più giovane ricercatore del National Research Council del Canada, dove da biologo si occupava di ricerche sul cancro), all’inizio del decennio decise di lasciare la ricerca per la comunicazione, fondando Seed nel novembre del 2001. Distinguendosi subito dal panorama della divulgazione scientifica, anche di quella più attenta a incuriosire il lettore, come New Scientist per capirci. Stile ricercato, grande attenzione alla grafica, un occhio al costume e un aggressivo marketing rivolto ai lettori “affluenti” (professionisti con buone possibilità di acquisto e livello culturale medio/alto). Un parco collaboratori di alto livello (James Watson, Freeman Dyson, Edward Wilson, Daniel Dennett tra gli altri, ma anche il musicista David Byrne o il romanziere Jonathan Lethem), e lunghi articoli figli della tradizione del new journalism, spesso più simili a racconti che a reportage giornalistici. E un’idea fissa: la contaminazione tra la scienza e gli altri campi della cultura, dalla musica al romanzo alle arti figurative.

Adam Bly sta arrivando in queste ore a Trieste, dove il 17 maggio partecipa (nell’ambito della Fiera dell’editoria scientifica Fest) a una tavola rotonda dedicata a “La comunicazione scientifica ai tempi di Internet”. Per l’occasione, Galileo gli ha chiesto di fare il punto sull’esperienza di Seed, giunta ormai al sesto anno e tuttora un unicum nel mondo dell’editoria scientifica.

Adam, come ti venne in mente di lasciare una brillante carriera di ricercatore per dedicarti alla divulgazione scientifica?

“Mi ero reso conto che era in atto un grande cambiamento. La scienza sta trasformando l’economia, la politica e l’arte come non era mai successo prima. Oggi la scienza interessa ogni singolo cittadino sul pianeta, e la conoscenza scientifica è diventata essenziale nella società moderna. Di recente mi sono ritrovato su un taxi a New York, e anziché la solita musica mi sono accorto che dallo stereo arrivavano numeri, equazioni…A un certo punto ho realizzato che il tassista stava ascoltando la biografia di Newton su cassetta. Era felicissimo che per una volta il passeggero non gli chiedesse di rimettere su della musica! Quando ho fondato Seed ho pensato che servisse un modo per raccontare la nascita di questa cultura scientifica globale. Una rivista che raccontasse il dialogo continuo tra la scienza e le altre manifestazioni della cultura. Ma anche una rivista scientifica che avesse un corrispondente da Washington (all’epoca una rarità), per raccontare come scienza e politica si intrecciano sempre più strettamente, dal tema del cambiamento climatico a quello dell’insegnamento della teoria dell’evoluzione”.

La missione dichiarata di Seed è sempre stata quella di mettere in comunicazione la cultura, artistica e umanistica, con le scienze. Dopo sei anni ti senti di fare un bilancio di come è andata?

“Direi che ha funzionato molto bene, come mostra il fatto che abbiamo appena ricevuto la nomination per il National Magazine Award, il più importante riconoscimento per il settore editoriale negli Stati Uniti. E negli ultimi anni il successo della nostra rivista è stato accompagnato da una presenza sempre maggiore della scienza nella produzione culturale”.

Un tratto caratteristica di Seed sono state spesso le facce di scienziati in copertina. In uno degli ultimi numeri c’è E. O. Wilson per esempio. È uno stile da rivista di costume più che di scienza, New Scientist probabilmente non lo ha mai fatto. Che idea c’è dietro questa scelta?

“La scienza è una impresa umana, nonostante il potere crescente delle grandi organizzazioni è ancora un modo per esprimere la propria personalità. Mettere Edward Wilson sulla copertina ci ricorda che la scienza avanza grazie a menti gigantesche che hanno il coraggio di prendere rischi giganteschi”.

Di recente abbiamo sentito molte previsioni fosche sul futuro dei giornali tradizionali. Lo stile comunicativo di Seed, con molte foto, cura estetica dell’impaginazione e articoli molto lunghi, sembra richiedere la carta stampata. Come vedi il futuro di questo medium?

“Non c’è dubbio che la crescita di Internet e dei media digitali abbia avuto grandi ripercussioni sull’industria della carta stampata, ma il desiderio di avere qualcosa da leggere stringendolo tra le mani è quasi innato. La richiesta della versione su carta di Seed continua a superare le previsioni, perché sempre più lettori giovani si sentono in sintonia con la sua voce e il suo punto di vista. La rete e la carta stampata possono ancora convivere fianco a fianco per molti anni, ognuno dando qualcosa di unico. È quello che cerchiamo di fare a Seed. La vera sfida è assicurare che queste forme lavorino bene insieme per continuare a sfidare le convenzioni”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here