Sono oltre 2 milioni e mezzo le persone colpite da sclerosi multipla (SM) nel mondo, di cui quasi 70.000 in Italia. Una malattia che oltre a gravi effetti per la salute, ha importanti conseguenze sulla psiche e sulla vita sociale di chi ne è affetto. Addirittura, distorcerebbe la capacità di valutazione delle azioni di altre persone, rendendo i pazienti più intransigenti nel loro giudizio morale. È quanto suggerisce uno studio pubblicato su Social Neuroscience.
“Studi precedenti hanno mostrato come la SM fosse collegata a deficit nella cognizione sociale”, ha spiegato Ezequiel Gleichgerrcht, ricercatore a capo dello studio. Con cognizione sociale si intende la capacità di agire in situazioni che coinvolgono altre persone, in particolare comprendere le emozioni e le intenzioni altrui. “Abbiamo voluto approfondire la questione, indagando come questo influenzasse il giudizio morale dei pazienti”, ha continuato Gleichgerrcht.
Per fare questo, 38 pazienti affetti da SM, e altrettanti soggetti sani, sono stati sottoposti a dei dilemmi morali: test utilizzati per valutare come agirebbe un soggetto in una situazione che prevede un giudizio morale. In questo caso, ai soggetti sono state sottoposte situazioni di omicidio colposo e tentato omicidio, chiedendo loro di agire come giurati ad un processo. In particolare, le persone coinvolte dovevano giudicare la correttezza della pena stabilita, sulla base di intenzionalità e conseguenze delle azioni analizzate.
Da studi precedenti, si è osservato come chi ha un deficit di empatia tenda ad essere più morbido nei giudizi morali, non riuscendo a comprendere le conseguenze emotive di un’azione spiacevole. Analogamente, chi fatica ad interpretare le intenzioni altrui giudica più bonariamente, non riuscendo a valutare l’intenzionalità in una determinata azione. Sapendo che i pazienti affetti da SM presentano entrambe le condizioni, i ricercatori si aspettavano una maggiore tendenza al perdono, rispetto al gruppo di controllo.
“I risultati ci hanno smentito e sorpreso” ammette Indrajeet Patil, ricercatore alla SISSA “I giudizi dei pazienti affetti da SM si sono rivelati più duri, sia nel valutare le intenzioni che le conseguenze.”
Come spiegare questi risultati? La SM è caratterizzata da periodi di remissione, cioè scomparsa dei sintomi, e di recidiva molto variabili e non prevedibili. Questo porta i pazienti a vivere in un costante stato di ansia e stress. Si instaura quindi una strategia cognitiva che orienta i pensieri sui fattori esterni, evitando l’introspezione.
Una strategia difensiva della mente, che ha come conseguenza la difficoltà nel distinguere la fonte del malessere emotivo, portando ad attribuirlo a fattori esterni anche quando è in realtà dovuto alla malattia, un fattore interno. Lo stesso meccanismo si è innescato, secondo i ricercatori, durante i test. Nei giudizi dei pazienti, quindi, ha pesato un carico di emozioni negative indipendenti da quelle suscitate durante l’esperimento.
Inoltre, ai partecipanti veniva chiesto quante persone, secondo loro, avrebbero condiviso lo stesso giudizio. Anche in questo caso, i pazienti affetti da SM si sono distinte dal gruppo di controllo, rivelandosi più sicure del proprio giudizio. Questo mostra, ancora una volta, come queste persone fatichino ad interpretare i pensieri degli altri.
“La conoscenza di questo meccanismo può aiutare il rapporto tra i malati e i propri cari” continua Patil “Portando, in futuro, a terapie più efficaci dal punto di vista psicologico e ad un miglioramento della vita di queste persone”.
Riferimenti: Social Neuroscience DOI: 10.1080/17470919.2016.1175380
Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara