La sfida riparte dal topo

Una nuova mappa genetica interrompe il lungo silenzio della scienza sulla sindrome di Down, prima causa di ritardo mentale nell’essere umano. Un silenzio che dura da oltre quarant’anni. Da quando cioè si scoprì il coinvolgimento del cromosoma 21 nello sviluppo della malattia, detta anche Trisomia 21 per la presenza di tre copie del cromosoma, una in più del normale. Dopo l’identificazione dei geni contenuti nel cromosoma 21, completata nel 2000 dai ricercatori del Progetto Genoma Umano, ora si dispone di una sorta di atlante che illustra in quali tessuti agiscano i suoi geni. Vale a dire: quando e dove ciascun gene è “acceso” o “spento”. E’ questo uno dei primi risultati ottenuti dai ricercatori dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli (Tigem). Nel loro articolo, pubblicato oggi sul numero speciale di Nature che presenta il genoma murino, gli studiosi italiani spiegano di aver confrontato i geni del cromosoma umano con quelli corrispondenti nel Dna del topo, osservando in vivo e in vitro la distribuzione dell’espressione genica in 12 tessuti adulti e in 4 stadi di sviluppo differenti dell’animale. La ricerca è di grande interesse perché la sindrome di Down colpisce un bambino ogni 700, e si stima che in Italia siano 40mila le persone che ne soffrono. Galileo ne ha parlato con Andrea Ballabio, responsabile italiano e coordinatore della ricerca.Dottor Ballabio, qual è la novità del vostro studio?“E’ l’analisi dell’espressione genica di un intero cromosoma umano, il 21. Abbiamo creato i presupposti per capire la funzione di tutti i geni che contiene. Li abbiamo studiati tutti insieme e abbiamo cercato di capire dove, in quale tessuto, e quando, in quale momento della vita di un individuo o di un embrione, agiscono. In seguito potremo capire che cosa succede quando c’è un “sovradosaggio” nella loro espressione, come nel caso della Sindrome di Down”.Di questa malattia genetica si parla poco a livello scientifico, eppure è molto diffusa. Come mai?“In effetti, anche se è dal 1958 che si sa del coinvolgimento del cromosoma 21 in questa malattia gli studi realizzati sono stati pochi. Solo di recente si è tracciata la mappa del cromosoma. La ragione di questo silenzio sta nella complessità della malattia, una complessità che si rivela almeno su tre piani distinti. Il primo riguarda la varietà dei sintomi: ritardo psicomotorio, malformazioni negli arti, anomalie gastro-intestinali, bassa statura, occhi a mandorla, difetti cardiaci. Un secondo livello è dato dal fatto che, a differenza di alcune delle 7000 malattie genetiche esistenti, la Sindrome di Down non dipende dal malfunzionamento di un singolo gene ma da molti geni. Inoltre, riguarda un intero cromosoma. Avere una terza copia significa avere 180 geni in più, con un eccesso del loro funzionamento. E poi i casi non sono tutti uguali: per esempio, alcune persone sviluppano malattie cardiache e altre no”. A che punto è l’identificazione dei geni coinvolti nella sindrome?“Cominciando a capire quali sono i geni candidati per tutti i sintomi, noi abbiamo ristretto il campo di ricerca. La tappa successiva sarà cercare di riprodurre i sintomi della Trisomia 21 nei topi di laboratorio. Tenteremo di provocare un sovradosaggio genico nei topi e ne verificheremo gli effetti. Questo sarà il punto di partenza per capire come agire”. Si arriverà a una terapia?“Questa strada è sicuramente lunga. Nella sindrome di Down non esistono solo problemi congeniti, che nascono cioè con lo sviluppo dell’embrione, ma anche altri che si manifestano tardivamente”.Ma i topi non sono affetti dalla Sindrome di Down. Sono un modello affidabile anche in questo caso?“Sì, il topo è un mammifero molto vicino a noi e con cui è possibile realizzare una vasta gamma di esperimenti. Sul topo abbiamo molte informazioni. È una guida, ma siamo fiduciosi che i nostri risultati saranno confermati. Io mi aspetto che solo una percentuale molto bassa, intorno al 5 per cento dei nostri risultati, non sarà confermata nelle ricerche sull’essere umano. Le modalità di espressione genica nei vari tessuti, infatti, sono altamente conservate tra le varie specie, soprattutto quando sono simili, come in questo caso”.La ricerca italiana attraversa un momento di crisi. Come ha funzionato nel vostro caso?“Il nostro studio è durato due anni. Ci hanno lavorato dieci persone del Tigem, in collaborazione con l’Università di Ginevra e con il Max Planck Institut di Hannover. Come metodo di lavoro abbiamo scelto di non dividere i geni tra i diversi istituti ma di utilizzare nei vari laboratori approcci e strumenti diversi su tutto il cromosoma. In seguito abbiamo confrontato e riunito i risultati nel lavoro pubblicato oggi. La ricerca, coordinata dal nostro istituto, è stata finanziata da fondi Telethon, dalla Comunità Europea e dalla Regione Campania, che è stata interessata e disponibile da subito nei confronti del nostro centro e delle ricerche che vi si svolgono”.In passato ci sono state polemiche sull’utilità di queste banche dati genetiche. Lei che le ha utilizzate come le giudica?“Gli archivi genetici sono estremamente utili. Certo, non sono privi di imprecisioni, buchi o ridondanze, è un po’ come valutare se il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno. Ma noi approfittiamo dei dati che ci sono e abbiamo dimostrato che anche una bozza di lavoro, come quella sul topo pubblicata oggi su Nature, è estremamente efficace per ricerche di questo tipo. Attualmente, per esempio, stiamo lavorando sulla comparazione nel topo di oltre 1200 geni che causano malattie genetiche nell’essere umano. Per farlo, utilizziamo completamente le mappe genetiche che riguardano i due organismi e gli strumenti messi a disposizione dalla bioinformatica”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here