La sottile linea fra scienza e politica

“La scienza è sempre più spesso un campo di battaglia su cui si affrontano realtà sociali con interessi diversi, tra cui anche quelli di carattere economico. Organismi geneticamente modificati, Bse e riscaldamento climatico globale sono solo alcuni esempi”. Questo è quanto si legge nell’editoriale di Nature del 29 marzo scorso, firmato da Roger A. Pielke, del Centre for Science and Technology Policy Research dell’Università del Colorado. Secondo il ricercatore americano, “E’ necessario che la comunità scientifica si renda conto di questa realtà e cambi atteggiamento se non vuole che la scienza contribuisca a screditare il dibattito politico e comprometta il suo stesso valore”. Nel suo articolo, Pielke sostiene che “gli scienziati non possono limitarsi a comunicare l’analisi bruta dei dati, ma dovrebbero assumersi la responsabilità di dare anche un significato ai risultati ottenuti e illustrare i possibili risvolti delle loro ricerche”.

Scienziati, politici e movimenti di opinione sono costretti ai vertici di un triangolo di ferro da una fitta rete di interessi reciproci. Secondo la metafora geometrica adottata da Pielke, infatti, in un primo angolo ci sono i politici, restii a prendere qualsiasi decisione che possa scontentare una parte del loro elettorato. E che quindi preferiscono affidare agli scienziati il compito di fornire dei dati oggettivi in base ai quali poi prendere le decisioni. In un altro angolo si trovano i ricercatori, che usufruiscono dei finanziamenti concessi dai politici ma prendono le distanze da qualsiasi impiego politico dei loro risultati sostenendo di lavorare per amore della conoscenza. Infine, arroccati nel terzo vertice, ci sono i movimentisti, sempre alla caccia di dati sperimentali in grado di legittimare le loro posizioni, convinti che avere il supporto della scienza significa avere la vittoria in pugno.

D’accordo con la situazione dipinta dal ricercatore americano è Enrico Bellone, storico della fisica e direttore del mensile Le Scienze: “Ormai non è più possibile prendere decisioni di interesse planetario senza chiedere il parere della comunità scientifica. Si tratta infatti di dare ai politici degli strumenti razionali su cui basare le proprie valutazioni. Quello che pensa il cittadino è in grado di influenzare le decisioni politiche e di riflesso anche il mondo della ricerca. In questo senso anche Nature non può più limitarsi alla pubblicazione dei lavori scientifici, ma fa e deve fare opinione”. Secondo Bellone la scienza è stata sempre connessa alla politica. “Quella che è cambiato”, puntualizza, “è la percezione di questa interazione. Prendiamo per esempio il dibattito sull’energia nucleare che si è svolto in Italia qualche tempo fa o la polemica sulle biotecnologie. L’opinione pubblica è fortemente condizionata dai mass-media e si convince di cose che poi sono in grado di condizionare le scelte politiche”. Secondo il direttore di Le Scienze parte dell’atteggiamento conflittuale che molte persone hanno nei confronti della scienza sarebbe imputabile ai mezzi di comunicazione di massa, quali giornali e televisione. Utilizzando termini come “cibo di Frankestein” o insistendo sul problema dello smaltimento delle scorie radioattive, sono in grado di pilotare l’opinione pubblica creando delle opposizioni ideologiche del tutto irrazionali. Anche per Pielke “lasciare ai movimenti di opinione la possibilità di condizionare i processi decisionali è del tutto controproducente sia per la scienza che per la politica”. Perciò il ricercatore americano propone di affiancare allo scienziato e al politico delle “figure professionali specializzate capaci di volta in volta di valutare l’impatto dei risultati di una ricerca scientifica sugli altri ambiti della vita sociale”.

In questo modo la responsabilità di interpretare i dati scientifici potrebbe passare in altre mani, forse più esperte. Rimane infatti aperta un questione: lo scienziato è in grado di dare una valutazione prescindendo dalle opinioni personali? Per Bellone “lo scienziato proprio grazie al tipo di lavoro che svolge è in grado di assumere un atteggiamento obiettivo. Con il metodo scientifico si impara infatti a essere distaccati dalle questioni sociali e a tenere separate le varie sfere che compongono l’individuo.” Diversa l’opinione di Marcello Buiatti, professore di genetica all’Università di Firenze, secondo cui “anche gli scienziati sono esseri umani e in quanto tali facilmente prendono posizione su determinati temi. Quello che può e deve fare uno scienziato è cercare di essere il più obiettivo possibile”. Inoltre sottolinea il genetista fiorentino in questo momento storico l’opinione pubblica è divisa in due: scientisti e antiscientisti . “I primi sono convinti che tutti i problemi possano essere risolti per mezzo della scienza e della tecnologia piuttosto che tramite l’adozione di politiche migliori, gli altri demonizzano il progresso e la ricerca nella convinzione che la nostra sia una società diretta dagli scienziati. Ma la scienza”, conclude Buiatti “non è né buona né cattiva, così come non è fatta di certezze. E’ un’attività dell’essere umano e in quanto tale può essere soggetta a errori, a interpretazioni e a volte anche a strumentalizzazioni”.

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