La sporca guerra del fungo antidroga

Bogotà – Con la firma del Plan Colombia nello scorso gennaio, il governo colombiano si è impegnato di fronte agli Stati Uniti e alla comunità internazionale a sradicare, fumigare e sostituire le piantagioni di coca e papavero per azzerare la propria produzione di droga entro il 2005. Lo sforzo colombiano sarà “ripagato” dagli statunitensi con 930 milioni di dollari in armamenti, tecnici antinarcotici e denaro sonante. Ma tra le molte critiche che piovono sul Plan, ce n’è una che riguarda le armi da impiegare nella distruzione delle piantagioni. Dopo la firma del trattato l’amministrazione Clinton sta infatti premendo sul Presidente Pastrana per l’impiego del Fusarium oxysporum (En4), un “fungo specializzato” che infetta le piante di coca, molto simile ad altri parassiti delle patate. Insomma: siamo alla guerra biologica, con l’impiego di flora patogena geneticamente modificata che, in un ambiente con alte temperature e forte umidità come la selva e la savana colombiana, potrebbe provocare danni ambientale di proporzioni ancora imprevedibili.

I segnali della pericolosità del parassita “mangiacoca” non mancano. Il Fusarium oxysporum fece la sua prima comparsa negli anni Settanta quando sterminò un’intera piantagione di coca nelle Hawaii. Le autorità nordamericane assicurano che il fungo è “ambientalmente sicuro” e “host specific”, cioè dovrebbe attaccare solo l’obiettivo designato. Tuttavia le stesse autorità hanno proibito l’impiego dell’En4 nella fumigazione delle piantagioni di marijuana in Florida. Nell’edizione del 2 luglio del quotidiano inglese The Observer si legge che il fungo “cochicida” costituisce la base di diverse armi chimiche messe a punto negli Stati Uniti, nell’ex Urss, in Gran Bretagna, in Israele, Francia e Iraq. Inoltre, secondo il micotossicologo britannico Jeremy Bigwood, il fungo è in grado di mutare geneticamente attaccando altre piante e provocando addirittura la morte di persone con un sistema immunitario debole.

Sono 25 anni che la Colombia lotta “chimicamente” contro la droga. Solo tra il 1992 e il 1998, il territorio nazionale è stato irrorato con circa due milioni e mezzo di litri di glifosato, un erbicida a largo spettro che avrebbe dovuto sradicare 60 mila ettari di coltivazioni illecite. Ma i risultati lasciano molto a desiderare. Le piantagioni di coca e papavero, infatti, non hanno fatto che espandersi passando da 41 mila ettari nel 1992 a oltre 122 mila nel 1999. Secondo le autorità statunitensi, l’insuccesso delle fumigazioni sarebbe colpa del “debole” glifosato, che distrugge solo il 28 per cento dell’area irrorata. Ciò spiega la pressione esercitata da Washingthon dagli anni Ottanta, per convincere le autorità colombiane a sperimentare agenti chimici più distruttivi. I governi colombiani accettarono il suggerimento e nel 1978 sperimentarono illegalmente il Paraquat, un diserbante molto tossico per persone e animali. Nel 1985, ‘86 e ‘98, fu la volta del Tebuthiuron, un erbicida particolarmente resistente alle piogge. E ora tocca all’En4.

Secondo gli oppositori della strategia del Plan Colombia, l’insuccesso delle campagne di fumigazione e distruzione forzata si spiega piuttosto con il costante aumento della domanda di droghe da parte del mercato internazionale. Le “maniere forti” hanno solo provocato uno spostamento delle zone di produzione: dalla regione del Guaviare i cocaleros (i contadini che coltivano coca e papavero) si sono trasferiti nel Putumayo. Inoltre, anche se si riuscisse a sradicare completamente la coltivazione in questa zona, esistono 200 mila ettari di selva amazzonica che potrebbero rifornire eroinomani e cocainomani di tutto il mondo.

In Colombia non è certo un segreto che le colture illecite si trovano in regioni marginali e isolate del territorio, con servizi inesistenti ed elevata povertà. Molti contadini che da sempre si dedicano alla produzione di coca e papavero, accusano i diversi governi colombiani di averli lasciati soli in terre senza infrastrutture e con tassi di disoccupazione oltre il 25 per cento. “Che ci costruiscano strade e ferrovie per commercializzare i nostri prodotti”, dice Juan Antonio Rodrìguez, cocalero di Villa Garzón nel Putumayo. Perché il problema principale di molti contadini è proprio l’enorme costo del trasporto di qualsiasi prodotto agricolo lecito destinato al mercato e non al consumo interno. Al contrario, la coca occupa poco spazio e gli stessi narcotrafficanti la ritirano dai coltivatori.

“Se continueranno con le fumigazioni”, continua Juan Antonio, “non faremo che abbattere e bruciare più selva per piantare nuovamente coca e papavero”. Come se non bastasse, la formula proposta dal Plan di fumigazione e contemporaneamente sviluppo alternativo è incompatibile. La fumigazione aerea, infatti, rende sterile il terreno nel raggio di chilometri e distrugge anche le piantagioni di patate, yuca e mais, base dell’alimentazione contadina. Molte comunità indigene dei Guambíanos del Putumayo, hanno deciso di sradicare manualmente le loro piantagioni di coca e papavero per evitare la fumigazione aerea che sta avvelenando i campi di cipolle e gli allevamenti di trote.

I cocaleros del Putumayo guadagnano un milione ogni tre mesi. Forse per ristabilire il controllo, come si propone il Plan, servirebbe di più una presenza attiva dello stato con riforma agraria, creazione d’impiego, infrastrutture, servizi e scuole. Invece in queste zone, dove si producono i due terzi della coca colombiana, arriveranno elicotteri, battaglioni antinarcotici e sofisticata tecnologia militare. Oltre alla costruzione di due nuove carceri a Puerto Asìs e Mocoa.

Il fatto è che, come molti ritengono, il Plan Colombia assomiglia più a un tentativo nordamericano di aiutare le forze armate colombiane a ristabilire il controllo militare nel Putumayo e nel Caquetà da dove la guerriglia si sta pericolosamente estendendo in Ecuador e Perù e minaccia di destabilizzare parte dell’America Latina. Il quasi miliardo di dollari che gli Usa si apprestano a versare nelle casse colombiane, rappresenterebbe quindi un vero e proprio intervento miliare nella guerra civile che da cinquant’anni insanguina il paese. Gli statunitensi giustificano la loro ingerenza sostenendo che le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), non sono un’autentica guerriglia, ma un cartello della droga che lotta per proteggere i guadagni legati al narcotraffico. Insomma una narcoguerriglia, come la definiscono alla Casa Bianca. Il Plan Colombia sarebbe quindi un pacchetto di aiuti antiguerriglia, presentato come un pacchetto antinarcotici.

Nel frattempo il mondo politico colombiano tace. Nessun dibattito pubblico, infatti, si è aperto nel Congresso sui contenuti del Plan Colombia. In un paese diviso tra il nazionalismo pronarco e il moralismo proyankee nessuno osa opporsi al tema antinarco. Strade alternative, per esempio la legalizzazione, non vengono neanche prese in considerazione in Colombia, così come negli Stati Uniti dove l’opinione pubblica è contraria a qualsiasi proposta di depenalizzazione del consumo di stupefacenti.

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