“La statistica fa vincere il banco”

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E’ diventato il sogno degli italiani. E’ il protagonista di intere trasmissioni televisive e delle prime pagine di molti giornali. Persino la chiesa cattolica ha preso posizione mettendone in discussione il valore morale. Stiamo parlando del Superenalotto, la fabbrica delle speranze, ma quasi sempre delle illusioni, che in poche settimane ha rubato il cuore e soprattutto le puntate di 20milioni* di italiani. E non è tutto: il Superenalotto ha frantumato il record europeo in fatto di montepremi e con la sua rapida ascesa ha dimezzato le scommesse su giochi per anni creduti imbattibili come il Totocalcio e i vari gratta-e-vinci.

Eppure questo Superenalotto non è altro che un gioco di pura fortuna: anziché comprare un tagliando che riporta un numero prestampato, come nella più classica delle lotterie, in questo caso è il giocatore ad “assegnare” un numero al proprio biglietto. Sta di fatto che l’effetto Superenalotto non riguarda più solo i giocatori appassionati, ma si è trasformato in un evento sociale che coinvolge in accesi dibattiti studiosi di matematica e statistica, sociologi, psicologi e un buon numero di sedicenti “esperti”.

Ma esistono davvero metodi “scientifici” per prevedere le combinazioni vincenti? Ci sono giochi più o meno “rischiosi” per chi scommette? Di questo e di altro Galileo ha parlato con Ennio Peres, matematico che si autodefinisce “giocologo”, esperto e inventore di giochi.

Allora professore, esiste o no un sistema per azzeccare il jackpot miliardario?
“Chi afferma di avere sistemi matematici in grado di favorire la vincita, è solamente un ciarlatano. In queste settimane alla televisione abbiamo sentito personaggi anche famosi affermare di aver indovinato delle quaterne con un qualche sistema. In realtà, i loro numeri hanno la stessa probabilità di uscita dei numeri ricevuti in sogno, altrimenti vorrebbe dire che tutta la matematica del calcolo delle probabilità è sbagliata. Il fatto è che tutti i giochi di questo tipo sono strutturati per favorire sempre il banco a svantaggio del giocatore. Infatti sono chiamati atotalizzatori perché solo un terzo delle somme vengono vanno a formare il montepremi mentre il resto viene incamerato dallo Stato e dalle società che li gestiscono. Lo Stato, o il banco, non perde mai”.

Dica la verità, si è lasciato tentare anche lei sperando di incassare cifre da capogiro?
“No, non ho mai giocato. Sono contrario ai giochi in cui si scommettono soldi. Il gioco è importante nella vita dell’uomo, ma come attività che aiuti a sognare, a viaggiare con la fantasia per riuscire a esplorare zone del cervello che altrimenti rimarrebbero inattive. Ciò che sta avvenendo va considerato piuttosto come una pura follia collettiva. Perché i riflessi sociali del gioco d’azzardo possono essere devastanti: chi si fa prendere dal demone della vincita miliardaria rischia di perdere di vista la quantità di denaro scommessa. Molte persone prese dal vizio spesso cadono preda degli usurai e più si diffondono questi giochi più aumenteranno le vittime. E’ stato calcolato che basta accumulare debiti attorno agli 8 milioni per correre il rischio di cadere nella rete degli usurai”.

Quindi lei sostiene che il giocatore d’azzardo è quasi un malato?
“In molti paesi come la Danimarca esistono già delle cliniche dove i giocatori incalliti vengono curati e disintossicati. Negli Stati Uniti il fenomeno della dipendenza dal gioco d’azzardo è una patologia già classificata e anche lì sono sorte cliniche specializzate. Il comportamento del giocatore d’azzardo è molto vicino al comportamento del tossicodipendente o dell’alcolista. E’ un atteggiamento inconscio di autopunizione. Un atteggiamento masochista, tanto che queste persone sembrano godere di più quando perdono”.

Lo Stato però potrebbe porre dei rimedi…
“Ma lo Stato ci guadagna. Le lotterie furono inventate dagli antichi imperatori romani proprio per incassare nuove tasse senza che il popolo se ne rendesse conto. Sono versamenti volontari dei cittadini all’erario. L’anno scorso in Italia si sono giocati 21 mila miliardi solo nei giochi gestiti dallo Stato, senza contare naturalmente il lotto clandestino. Ciò significa che in media ciascuno di noi, neonati inclusi, ha speso 333 mila lire in scommesse, che è una vera e propria tassa”.

Ma quanto si gioca negli altri paesi?
“Anni fa l’Italia era al primo posto, seguita dalla Spagna e dal Brasile. La tendenza di affidarsi alla fortuna è un fatto culturale, di tradizione. I giochi sono sempre stati una caratteristica dei paesi latini. Oggi nella classifica troviamo in testa la Spagna, seguono l’Inghilterra la Francia e l’Italia è scesa al quarto posto. Il caso dell’Inghilterra è interessante. Per 160 anni in Gran Bretagna tutta l’attività delle scommesse, legali, era in mano dei privati. Ma a partire dal 1995 anche lo Stato ha istituito le sue lotterie. Ora la chiesa anglicana ha protestato contro queste lotterie per i loro effetti collaterali, per esempio la diminuzione delle offerte in beneficenza”.

Ma se proprio si vuole correre il brivido dell’azzardo, qual è il gioco meno rischioso?
“Effettivamente ci sono giochi che danno un rendimento maggiore rispetto ad altri. La roulette, per esempio, considerata da sempre il gioco della perdizione è quella che dà il rendimento più alto: 0,937”.

Scusi, cos’è il rendimento di un gioco?
“E’ il differenza fra il vantaggio del banco e quello del giocatore. Il rendimento di 0,937 della roulette significa che se uno gioca molto, alla lunga tra vincite e perdite avrà un capitale che è circa 0,937 volte quello iniziale. Partendo da un milione alla fine si ritrova con 937 mila lire, cioè a perso poco e in questo senso la roulette è il gioco meno rischioso, seguono le corse dei cavalli, con un rendimento di 0,7 e il lotto con 0,6”.

Per saperne di più, c’è il libro di Ennio Perez Febbre da gioco edito da Avverbi.

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