Categorie: Salute

La strana visita di Lombroso a Tolstoj

Paolo Mazzarello
Il genio e l’alienista. La strana visita di Lombroso a Tolstoj
Bollati Boringhieri, 2005
pp.123, euro 10,00

Un gigante settantenne, di prestanza fisica notevole, irascibile e che si fabbricava gli stivali da sé, mentre scriveva capolavori della letteratura. Un medico basso, pingue, distratto, che dimostrava più dei suoi 62 anni, noto in tutto il mondo per i suoi studi antropologici. Si incontrano a casa del gigante, nella profonda campagna russa, dove questi vive in una tenuta di vaste dimensioni, nell’estate del 1897. Il medico viene dall’Italia, e da Mosca (dove si trovava per un convegno) si mette in viaggio per andare a conoscere il genio. Il medico è Cesare Lombroso, il genio è Lev Tolstoj. Per Lombroso, che ormai da anni sta studiando le caratteristiche bioantropologiche degli uomini di genio e dei folli, l’incontro con Tolstoj rappresenta un’occasione imperdibile. La teoria lombrosiana considerava infatti genio e follia “le due facce della stessa realtà psicobiologica; una realtà distorta, alterata, disturbata” che “finiva per abbracciare gli stessi abissi della mente criminale”. La mente geniale è dunque degenerata come quella del folle e presenta caratteri atavici al pari dell’uomo delinquente, l’altro grande protagonista degli studi lombrosiani.

Lombroso va dunque da Tolstoj perché vuole trovare conferme alle sue ipotesi. Lo scrittore sembra fatto apposta per fare da pietra di paragone: fisicamente imponente, facile all’ira, oscilla tra “concupiscenza brutale e sessuofobia, di lussuria irresistibile e desiderata castità”. La sua vocazione messianica, di evangelizzatore di un nuovo cristianesimo delle origini liberato dagli orpelli clericali, lo spinge a una vita che rifiuta il lusso, predicando la continenza. Tuttavia è preda spesso di desiderio sessuale per la moglie, povera creatura che subisce “la sua ruvida esuberanza sessuale” la sua “prepotente sensualità”. Scontroso, severo e incurante della famiglia, si trasforma nei confronti degli altri. Insegna a leggere e scrivere ai contadini della sua tenuta, rifiuta di farsi servire a tavola, preparandosi da solo il cibo e andandolo a prendere in cucina, realizza le calzature per sé e la famiglia. Insomma, un comportamento schizofrenico, cui si aggiungono anche occasionali crisi epilettiche.

Lombroso non poteva sperare di meglio: la dimostrazione vivente della connessione tra genio e follia, il grande scrittore che perde metà del suo tempo a fare scarpe, e che pure riceve un vasto numero di visitatori desiderosi di denaro, conforto e consigli. L’incontro tra il genio e l’alienista è dunque destinato a lasciare memoria diversa nei due personaggi. Lombroso se ne torna verso Mosca con prezioso materiale di studio. Al contrario, Tolstoj, infastidito da questo “vecchietto ingenuo e limitato” venuto a osservarlo come fosse un animale da laboratorio, inserirà nel romanzo “Resurrezione” alcune pagine di dura critica alle teorie lombrosiane. Intorno a questo incontro, Paolo Mazzarello ha costruito un breve e delizioso racconto, a tratti comico: Lombroso era infatti un personaggio assolutamente singolare, spesso incapace di gestire normalmente il quotidiano senza l’aiuto di qualcuno, e che più che ai risultati sperimentali dava retta alle proprie intuizioni. Così intorno a un’illuminazione improvvisa, cominciava a raccogliere prove per sostenerla, senza andare troppo per il sottile: singoli episodi potevano dunque diventare pietre angolari di complessi edifici teorici. Dopo la lettura di questo libro, viene dunque da domandarsi chi tra Lombroso e Tolstoj fosse veramente il genio incline alla follia.

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