Stefano Bettera, Francesca Terzoni
La tempesta migratoria
Corberi Sapori Editori 2011, €14,00
“La tempesta migratoria” di Stefano Bettera, giornalista e responsabile dell’ufficio stampa di Legambiente, e di Francesca Terzoni, attivista per la difesa dei diritti civili, è un saggio che induce a una profonda riflessione. Grazie al contributo di Emma Bonino, Roberto Biscardini, Giuseppe Civati, Francesco Ferrante, Carlo Monguzzi, Andrea Poggio ed Ermete Realacci, gli autori affrontano il rapporto tra cambiamenti ambientali e problematiche sociali, dimostrando che l’unico sviluppo auspicabile per il prosieguo della vita, è quello sostenibile.
La tutela dell’ambiente è imprescindibile: “crisi climatica e crisi economica, impoverimento dei popoli e peggioramento delle condizioni ambientali sono quindi ormai fenomeni collegati (…). Che dipenda dagli uragani, da tempeste, alluvioni o siccità, oppure che sia la conseguenza di guerre di controllo dei depositi d’acqua, o ancora che si tratti più in generale di cambiamento climatico, nel 2050 la Terra potrebbe dover affrontare la migrazione di 200 milioni di rifugiati climatici”. Il dato giunge dall’Organizzazione per le migrazioni (IOM). Lo stravolgimento dell’ecosistema indurrà, difatti, intere popolazioni a mettersi in viaggio, alla ricerca di nuovi territori per vivere. È chiaro che un’inversione di tendenza concreta passa prima di tutto dalla riorganizzazione dell’economia e dall’investimento in fonti energetiche rinnovabili. La vera sfida del futuro consisterà nella gestione dei flussi migratori, nei processi d’integrazione, nell’utilizzo di energie rinnovabili e nel recupero delle periferie. “Per lottare efficacemente contro i mutamenti climatici, l’Unione Europea per prima deve tornare ad avere un ruolo centrale per raggiungere un accordo vincolante nel quadro delle Nazioni Unite. La riduzione delle sue emissioni di gas serra al 40% entro il 2025 e del 90% per il 2050 è un obiettivo possibile ma richiede che il risparmio e l’efficienza energetica diventino una vera e propria realtà il prima possibile”.
In questo quadro, si capisce perché le scelte economiche italiane, su cui gli elettori sono stati chiamati a esprimersi meno di un mese fa, erano tanto temute dagli ambientalisti. L’Italia rischiava d’imboccare una strada cieca, che, per fortuna, la Germania e la Francia stanno pian piano abbandonando. L’energia nucleare rappresenta attualmente meno del 6% del consumo finale di energia in Europa. Se gli italiani avessero optato per il nucleare, avrebbero scelto una risorsa limitata e avrebbero visto la prima centrale nel 2020, quando, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la produzione del nucleare raggiungerà il minimo storico.
Il vero sviluppo sta nel sostegno di comportamenti ecosostenibili, sia a livello domestico che industriale. Urgono l’acquisto di pannelli solari, di caldaie a legna, la realizzazione di apparati di controllo energetico, l’aumento dei trasporti pubblici meno inquinanti, gli abbonamenti a trasporti collettivi o a sistemi di auto-condivisa, l’adattamento dei motori e limitazione del consumo di energia da parte dei veicoli. Solo in questo modo è auspicabile un sistema sociale sano. Ambiente, economia e crisi pubblica, sono facce della stessa medaglia, e tirarla a caso non conviene proprio più a nessuno. La crisi della nostra era impone di ragionare su larghe vedute, prescindendo dal breve periodo. Immigrazione e recessione socio-ambientale sono la conseguenza di un modello di benessere fasullo, di cui i paesi ricchi devono farsi necessariamente carico. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse ha ridotto in ginocchio intere popoli della Terra, che si metteranno in viaggio (se non l’hanno già fatto) per continuare a vivere.
L’accesso alle fonti scarse di energia è la prima causa di conflitti e di ostilità tra le etnie. Il divario tra ricchi e poveri è destinato a crescere e si ripercuoterà su tutto il genere umano. Ad oggi, investire milioni di euro per salvare settori economici destinati a estinguersi, è solo un modo per non affrontare la crisi alla radice. La crisi: uno spauracchio dalle mille teste che solo una politica lungimirante e a misura d’uomo potrebbe debellare sul serio. La green economy è il futuro. E i paesi che la stanno già sperimentando, hanno registrato un considerevole incremento di posti di lavoro. Al contrario, “una società che non si interroga sulla necessità di operare scelte che garantiscano il diritto d’accesso ad un lavoro dignitoso per tutti, la necessità di invertire la tendenza alla divaricazione della distribuzione della ricchezza, è una società incapace di comprendere i forti segnali-economici, climatici, migratori-che arrivano da tutto il mondo”, leggiamo nel libro. Di fatto, l’immigrazione è già una realtà.
L’ultima parte del testo è dedicata proprio a una serie di osservazioni sui flussi migratori, che stanno destando molta ansia, specie nell’Italia settentrionale. Eppure i nuovi arrivati contribuiscono alla crescita del Pil: impiegati nell’edilizia, nell’agricoltura, come conciatori, addetti alle pulizie, cavatori, cuochi, lavapiatti, assistenti e badanti. La maggior parte di questi individui, se socialmente integrato, produce ricchezza. L’emarginazione, la discriminazione, sono invece, forieri di ostilità e di atti criminali. Solo la multiculturalità, ben diversa dalla mera multietnicità, garantisce la crescita degli uomini. “I punti di partenza sono dunque l’ambiente ed il lavoro. Perché il lavoro è il luogo dove si generano tutti i processi sociali prima e politici poi. Perché li nascono i nuovi linguaggi della società e l’inclusione, i legami, il rapporto tra le persone e le comunità, il dialogo tra le differenze”.