La velocità riproduttiva fa la differenza

La perdita dell’habitat naturale e la vita in un’area geografica limitata sono noti fattori di pericolo per la conservazione di una specie, ma sotto la pressione della caccia è la velocità riproduttiva che fa la differenza. Lo descrive una recente analisi statistica della biologa Samantha Price, studiosa del National Evolutionary Synthesis Center di Durham. Il lavoro, pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B, è stato sostenuto dalla National Science Foundation, e fa parte della sua dissertazione all’Università della Virginia.

La ricercatrice ha realizzato una analisi statistica su 144 specie di “animali dallo zoccolo”, come maiali, lama, bovini, pecore, capre e antilopi, e ha incrociato la lista completa delle specie minacciate con i dati sulla caccia, sull’uso del territorio e sui tassi di riproduttività degli animali. Lo studio ha evidenziato che la rapidità riproduttiva protegge alcune specie dall’estinzione. Si è riusciti così a spiegare, per esempio, perché il bisonte americano era stato quasi cancellato in pochi anni di caccia accompagnati da modesti cambiamenti di habitat mentre il cervo dalla coda bianca continua a crescere nonostante la caccia e l’estensione urbana. Il motivo risiede nei cicli riproduttivi: il bisonte accudisce i suoi piccoli in media per 283 giorni, mentre il cervo solo per 80.

Caccia e perdita dell’habitat restano comunque due fattori determinanti nel causare l’estinzione. “Lo scenario peggiore”, sostiene la ricercatrice, “si genera in quelle aree dove si combinano contemporaneamente l’espansione urbana e la caccia degli animali locali. In questo senso Africa dell’ovest, Indonesia, Malesia e America del Sud sono considerati “punti caldi” e molte specie in queste zone sono a rischio.

Inoltre, essendo erbivori, questi animali incidono in modo significativo sull’ecologia locale, aiutando per esempio la dispersione dei semi attraverso il letame e tenendo sotto controllo la crescita delle piante. “La loro progressiva estinzione potrebbe cambiare completamente l’ecosistema”, conclude la studiosa. (m.r.)

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