In laboratorio l’ibernazione artificiale non è fantascienza. ”Ci aiuterà, dall’Alzheimer alle missioni spaziali”

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SARZANA (SP) – Coricarsi. Chiudere gli occhi. Sperimentare il progressivo intorpidimento di membra e mente. E svegliarsi settimane, mesi o anni più tardi, più vivi e freschi di prima. Uno scenario visto in tantissime opere di fantascienza – da Interstellar a 2001: Odissea nello spazio, passando per Avatar e Il dormiglione –  che sembra però essere molto più concreto di quanto si possa pensare. Gli scienziati lo chiamano ibernazione, i profani lo conoscono come letargo. Perché, alla fine, di questo si tratta: una condizione caratterizzata da una riduzione estrema del metabolismo e della temperatura corporea, che consente di sopravvivere a periodi più o meno prolungati di assenza di risorse. Una sorta di austerity fisiologica, insomma: un superpotere che molti mammiferi – scoiattoli, marmotte, topi, orsi – possiedono e attuano spontaneamente. E che diversi scienziati in tutto il mondo cercano di replicare, estendendolo artificialmente a specie non ibernanti. Obiettivo ultimo, gli esseri umani. A occuparsi del tema, in Italia, è l’équipe di Matteo Cerri, neuroscienziato dell’Università di Bologna e collaboratore dell’Agenzia Spaziale Europea, che in un recente intervento al Festival della Mente di Sarzana ha raccontato lo stato dell’arte e illustrato i possibili scenari futuri.

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