“Lasciate circolare il sapere”

Un sistema che soffoca i pesci piccoli e permette ai grandi di vivere allegramente con le briciole. Una lobby anacronistica che impedisce la libera circolazione dei saperi. Un centro di interessi che rifiuta di mettersi al passo con il tempo, che ignora la piccola grande rivoluzione che Internet ha portato: la possibilità di far circolare liberamente le informazioni. Di ogni tipo. Che sia musica, libri, software, la differenza non esiste. Questa è la Siae, la Società italiana autori editori, secondo il movimento degli hacker italiani. Che hanno iniziato una campagna di sensibilizzazione sul tema, organizzando cortei virtuali, azioni dimostrative e incontri con i vari soggetti interessati al problema. L’offensiva è partita con una due giorni su “Gnueconomy ed Editoria”, organizzata dal Loa, l’hacklab di Milano che ha sede nel Centro Sociale Bulk. Al grido di: “No copyright!”.

Dunque barra a dritta contro la società che dovrebbe garantire il giusto compenso a chi produce opere di ingegno. Soldi che dovrebbero garantire a chi sforna canzoni, libri, software, tutto ciò che è coperto dal copyright la possibilità di vivere del proprio lavoro. Ma è proprio così? Secondo Blicero, uno dei membri del Loa e tra gli organizzatori della due giorni di Milano, assolutamente no. “La Siae non garantisce i grandi introiti che permettono di vivere a un artista, protegge solo i pesci grossi, i soci di maggioranza. E’ vero che monitora lo sfruttamento delle opere ma il grosso degli introiti serve per tenere in piedi la Siae stessa. Quello che va agli autori è una percentuale irrisoria”. E il simbolo della battaglia diventa il bollino che troviamo stampato, appiccicato su ogni prodotto coperto da copyright. “Il bollino che deve essere applicato su ogni opera di ingegno, ritarda la fuoriuscita del prodotto e fa aumentare i costi”, denuncia Blicero, “una tassa ingiusta, un vero e proprio boomerang, un freno fortissimo alla circolazione degli stessi saperi che la Siae vorrebbe proteggere. Così si uccidono i piccoli produttori indipendenti”.

Ma insomma questa Siae cosa rappresenta per coloro che la vorrebbero vedere scomparire? “Di fatto rappresenta il vecchio mondo e quell’universo di persone e interessi che non vuole misurarsi con le trasformazioni in atto, burocrazia e lobby”, accusa Blicero, “e invece di cercare di comprendere le trasformazioni sociali e culturali in atto, tentano di osteggiarle con la speranza di garantirsi quella piccola nicchia di privilegio che si sono accaparrati fino a oggi. Sul loro sul loro sito puoi leggere che difendono gli autori dalla libera circolazione dei saperi”. Nell’era di Internet, è un’idea quantomeno anacronistica. Significa non voler vedere quello che sta accadendo. E nell’era di Internet, con degli hacker di mezzo, la protesta non può che passare per la Rete. Sfruttando una trovata tutta italiana, concepita dai membri di Stranonetwork di Firenze: il netstrike. “E’ il corrispettivo telematico di un corteo. Come nella realtà le persone scendono in strada e la occupano, i partecipanti al netstrike occupano la piazza virtuale”, spiega Blicero, “occupano la banda, la capacità della rete di trasmettere le informazioni, per diminuire il flusso, e oscurare la visibiltà del sito. Per attirare l’attenzione su un problema e dargli visibilità”. E così lunedì 15 gennaio 2001 l’amministratore del server Siae si è visto raggiungere da una valanga di connessioni. Un numero troppo alto da gestire. Risultato: il sito è rimasto inaccessibile per tutta la durata della protesta virtuale, tre ore.

La questione è importante per gli smanettoni nostrani che cercano non solo di abbattere, ma anche di costruire valide alternative al monopolio Siae. Alternative che permettano agli autori di tutelare e vivere delle proprie opere. Un mondo basato sulla Gnu Economy, nome che sbeffeggia gli adepti della New Economy. La Gnu Economy è basata sul pensiero di Richard Stallmann, un ex studente del Mit, figura storica del mondo hacker a stelle e strisce. Un’economia basata sulla cooperazione e libera circolazione dei saperi, anziché sulla chiusura e sulla competizione e via dicendo. Un mondo dove vige il principio del copyleft, antitetico al copyright. “Noi abbiamo esperienza diretta attraverso il nostro agire di quella che si potrebbe chiamare la Gnu economy. Il mondo del freesoftware”, racconta Blicero, “un chiaro esempio come questo non sia in contrapposizione con i meccanismi del mercato attualmente vigenti. Anzi che riesce a stare all’interno di tali meccanismi e dall’interno riesce a scardinarli. Il freesoftware, di fatto, sta scardinando il meccanismo della new economy pur restandoci dentro”. Chi produce freesoftware, programmi liberi di essere distribuiti, modificati e copiati, riesce a vivere del proprio lavoro. Spesso fornendo servizi, per i quali si fa pagare, legati direttamente al prodotto. Il freesoftware ha raggiunto una quota di mercato pari al 12 per cento. Di fatto, la Gnu Economy è una realtà.

E gli hacker non sembrano spaventati dalle capacità finanziarie delle grandi lobby del copyright. Quello che è successo con Napster non li fa indietreggiare. “Quando diventerà a pagamento verranno usati altri server che continueranno a permettere di condividere l’informazione gratis, come gnutella, freenet, opennap”, prevede Blicero. “L’introduzione dell’abbonamento a Napster è un tentativo del mercato di far rientrare sotto la sua ala protettrice qualcosa che ne era uscito”, continua Blicero, “se vogliamo essere pragmatici la gente preferisce usufruire di cose che non paga. Ma questo non è in antitesi con la realtà. E’ dimostrato che i più grandi consumatori di cd regolarmente acquistati sono quelli che utilizzano Napster”.

La circolazione del sapere, questa lo sfondo su cui si muovono le iniziative degli hacklab italiani. L’intangibilità delle idee e dei prodotti della mente umana, per i quali è difficile immaginare barriere e dogane. Quello che succederà in futuro è difficile prevederlo, ma Blicero è sicuro: “Il sapere sarà sempre più difficile da controllare. A meno che non si voglia chiudere la Rete. Messa in termini romantici, i saperi con uno strumento di comunicazione così potente a disposizione tendono a voler essere liberi., ma è la realtà che dimostra che è cosi”. E il copyright in un mondo come questo che ruolo ha? “Il copyright in termini schiettamente ideologici è un furto. Chi scrive un libro utilizza idee che fanno parte di un patrimonio di sapere non solo suo”, argomenta Blicero, “e per quanto mi riguarda, nessuno può accampare il diritto di esserne proprietario. E’ chiaro che dobbiamo venire a piatti con la realtà, vedo la tutela della proprietà intellettuale come un fine funzionale a quello più alto: quello della libertà dei saperi”.

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