L’atlante delle malattie

Diversi a causa dello 0,1 per cento del patrimonio genetico. Tanto basta a giustificare tutte le differenze tra un essere umano e l’altro: colore di capelli e di pelle, altezza e predisposizione ad aumentare di peso corporeo facilmente o meno, ma anche maggiore o minore probabilità di sviluppare una malattia. A questa porzione di geni, tanto piccola quanto importante, si sono rivolte le attenzioni degli oltre 200 ricercatori impegnati nel progetto HapMap che oggi pubblicano su Nature il risultato del loro sforzo: il primo catalogo delle variazioni genetiche umane, un atlante accessibile in maniera gratuita. Il consorzio, che vede riuniti centri di ricerca pubblici e privati di Canada, Cina, Giappone, Nigeria, Regno Unito e Stati Uniti, si è formato nell’ottobre 2002 con lo scopo di realizzare una nuova mappa del genoma umano, quella delle zone, dette aplotipi (da cui HapMap), dove si vanno ad ammassare le variazioni genetiche, di solito ereditate in blocco.

La fase I del progetto, ora ultimata, ha portato alla descrizione di più di 1 milione di differenze chiamate Snp, acronimo in inglese di polimorfismi a singolo nucleotide. Pezzetti di Dna dove la differenza la fa una singola lettera delle quattro che compongono il filamento, appunto un nucleotide. “Si tratta di una pietra miliare per la ricerca medica”, ha dichiarato David Altshuler del Broad Institute di Harvard e del Massachussetts Institute of Technology di Cambridge, uno dei ricercatori che ha contribuito al progetto. “HapMap è un nuovo strumento estremamente efficace che ci aiuterà a scoprire le origini delle malattie comuni”.Usando la nuova mappa, infatti, sarà possibile confrontare gli Snp delle persone colpite da alcune malattie con quelli di persone sane e così identificare velocemente e con esattezza le variazioni genetiche che contribuiscono allo sviluppo di una determinata patologia. I “cacciatori” di geni hanno già usato HapMap e con ottimi risultati: a marzo scorso, per esempio, un articolo pubblicato su Science rivelava quali sono le variazioni genetiche che aumentano in maniera sostanziale il rischio di degenerazione maculare senile. Una singola variazione su 3 miliardi di lettere di Dna individuata grazie alla nuova mappa. E questo è solo l’inizio, sottolineano i ricercatori. Più di 70 articoli e presentazioni in qualche modo legati al lavoro del consorzio verranno presentati al prossimo meeting della Società Americana di Genetica Umana in corso fino al 29 ottobre a Salt Lake City nello Utah.Ma lo strumento si potrebbe prestare anche ad altri usi: per esempio testare la risposte delle persone ai trattamenti, alle sostanze tossiche o ai fattori ambientali. Informazioni che potrebbero essere usate per personalizzare la cura.

Entusiasmo, quindi, ma anche cautela. “I dati che si ricavano dalla mappa devono essere controllati in modo che assumano significatività statistica altrimenti ci ritroveremo con una marea di falsi positivi”, hanno scritto nell’articolo i partecipanti al consorzio. Per non cadere in errore, si raccomanda a chi individuasse una variazione implicata nello sviluppo di una malattia di confermare il risultato riproducendolo indipendentemente studiando lo stesso insieme di Snp in gruppi diversi di persone con la stessa malattia. La mappa è stata prodotta analizzando il Dna estratto a partire dai campioni di sangue di 269 volontari raccolti in zone disparate del pianeta: da Ibadan in Nigeria a Tokyo in Giappone, da Pechino in Cina a paesi dello Utah negli Usa.

E proprio questo metodo ha sollevato alcuni dubbi in una parte della comunità scientifica: i campioni raccolti sono effettivamente rappresentativi dell’intera umanità? Gli aplotipi sono davvero dei buoni indicatori della variabilità umana? Polemiche sollevate alla presentazione del progetto che ora sono passate in secondo piano davanti alla novità della mappa.HapMap è riuscita infatti anche a far luce su meccanismi molto importanti per l’evoluzione della specie umana, come la ricombinazione genetica. È grazie a questo fenomeno, cioè lo scambio che avviene fra i patrimoni genetici del padre e della madre, che la diversità umana aumenta e quindi l’essere umano si adatta all’ambiente dove vive. Ebbene, lo scambio avviene in realtà solo in pochi punti del genoma e lo studio del data base raccolto dal consorzio ha permesso di capire quali siano queste “zone calde”. Una scoperta che permetterà di studiare le proprietà dell’ereditarietà.

Di più. Il consorzio ha anche scoperto che i geni coinvolti nella risposta immunitaria e nei processi neuronali presentano una maggiore diversità fra individuo e individuo di quelli che invece riparano il Dna, che sovraintendono all’impacchettamento e del Dna e alla divisione cellulare. Come mai? Secondo i ricercatori la selezione naturale potrebbe aver modellato l’essere umano in modo da favorire la diversità dei geni che influenzano le interazioni dell’organismo con l’ambiente, come quelli coinvolti nella risposta immune, e di non favorire invece i cambiamenti nei geni coinvolti nei processi cellulari centrali.

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