Le aree marine protette funzionano davvero?

Le aree marine protette (marine protected areas, o Mpa) sono uno degli strumenti principali con cui si cerca di conservare la biodiversità degli ecosistemi marini, sempre più a rischio a causa della pesca eccessiva e dell’inquinamento. Non tutti, però, sembrano convinti dell’efficacia di queste strategie. In un articolo su Nature, un gruppo di ricerca internazionale guidato da Graham J. Edgar, dell’Università della Tasmania, lancia infatti l’allarme, dimostrando che in molti casi le Mpa non sono sufficienti per contrastare il progressivo impoverimento dei nostri mari. Stando ai loro risultati, la chiave per proteggere efficacemente la biodiversità marina sarebbe non tanto nella quantità di aree protette istituite, quanto nelle loro caratteristiche.

In linea con la Convenzione sulla Diversità Biologica (o Cbd), trattato firmato nel 1992 da 193 paesi al fine di preservare la biodiversità del pianeta, negli ultimi due decenni il numero di aree marine protette è infatti aumentato velocemente in tutto il mondo. Le Mpa presentano però notevoli differenze riguardo a fattori come le quote di pesca permesse, le misure messe in campo per contrastare la pesca illegale, o la loro dimensione, parametri che secondo il team di Edgar possono influenzarne profondamente l’efficacia. Per questo gli scienziati hanno deciso di monitorare lo stato della biodiversità marina in 87 Mpa di tutto il mondo, verificandone l’efficacia in relazione a cinque caratteristiche chiave: quanto pesce si permette di pescare, il livello dei controlli, da quanto tempo esiste l’area, la sua dimensione, e il suo livello di isolamento.

Dalla loro analisi è emerso che il 59% delle aree presentava caratteristiche soddisfacenti (divieto totale di pesca, molti controlli, ampie dimensioni, buon isolamento e lunga durata) in non più di uno o due dei cinque parametri presi in esame. Esaminando la biodiversità in questi siti, i ricercatori hanno scoperto inoltre che risulta assolutamente indistinguibile da quella delle aree in cui la pesca è permessa. Nelle zone definite invece “efficaci”, con almeno tre o quattro dei parametri in positivo, le analisi hanno dimostrato la presenza di una biodiversità praticamente doppia, una quantità di esemplari di pesci di taglia medio grande cinque volte maggiore, e un numero quattordici volte superiore di squali, tutti indicatori che dimostrano le strategie di ripopolamento e protezione della biodiversità stanno funzionando.

Utilizzando le aree efficaci come paragone, i ricercatori hanno potuto stabilire inoltre che nelle aree di pesca e nelle Mpa non efficaci, la biomassa totale (il numero di creature marine presenti) è diminuita di circa due terzi rispetto ai periodi precedenti all’inizio della pesca intensiva. Secondo gli autori serve dunque un maggiore impegno internazionale per raggiungere gli standard di efficacia richiesti in tutte le Mpa esistenti. Se non si interverrà presto, l’incremento della pesca intensiva previsto per i prossimi anni rischia infatti di aumentare drammaticamente il numero di specie marine a rischio di estinzione.

Riferimenti: Nature; Global conservation outcomes depend on marine protected areas with five key features; doi:10.1038/nature13022

Credits immagine:Hani Amir/Flickr

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