Categorie: AmbienteSalute

Le aziende chimiche in ritardo sul Reach

A dispetto del nome, Reach (Registration, Evaluation, Authorization and Restriction of Chemicals) – la legge che in Europa regolamenta la sicurezza per le persone e l’ambiente delle sostanze chimiche utilizzate dalle aziende – è ben lontana dall’aver raggiungo una reale e completa applicazione. I rapporti sulla sicurezza che arrivano all’Agenzia europea delle sostanze chimiche (la Echa, European Chemicals Agency) sono infatti basati su metodiche vecchie, fuori dagli attuali standard richiesti, e non tengono conto dello sviluppo di strategie che non contemplino l’uso di test sugli animali, come invece auspicato dalla Reach. La denuncia arriva direttamente dalle pagine di Nature, in un articolo che esamina lo stato dell’arte e le ragioni che hanno portato Reach, a quattro anni dalla sua entrata in vigore, a rimanere ancora una norma in parte disattesa.

Dall’avvento del regolamento, nel 2006, l’Europa chiede alle aziende che importano o producono sostanze chimiche di compilare una serie di dossier sulla sicurezza per la salute e per l’ambiente di tutti i composti utilizzati, una sorta di valutazione del rischio. Tutto affiancato da una serie di test tesi a dimostrare gli effetti biologici delle sostanze impiegate. 

Eppure, revisionando 200 dei 3.200 dossier inviati all’Echa, Costanza Rovida, consulente chimico per Reach, non è rimasta soddisfatta (l’analisi era stata commissionata dall’European Arm of the Center for Alternatives to Animal Testing): la maggior parte dei report si basa su analisi vecchie o realizzate con il “read-across”, vale a dire stimando gli effetti di una sostanza paragonandola a un’altra simile, per la quale esistono già dei dati. Un metodo che, se valido per alcuni tipi di analisi, non riesce a prevedere gli effetti sulla sfera riproduttiva e su quella dello sviluppo, dicono gli esperti (nonostante questo, sono stati ottenuti così i dati sulla tossicità riproduttiva di circa il 21% dei rapporti analizzati). 

Voto insufficiente anche agli sforzi da parte delle aziende di ridurre i test sugli animali: solo due dei duecento dossier presi in considerazione presentavano dati ottenuti con metodi alternativi.

La distanza tra obiettivi proposti e raggiunti, sottolinea Nature, sarebbe dovuta a due fattori: la mancanza di controlli serrati da parte dell’agenzia (non tutti i dossier sono infatti controllati scrupolosamente per mancanza di risorse) e l’assenza di provvedimenti finanziari e giuridici per le aziende che non rispettano la normativa.

Riferimenti: doi:10.1038/475139b; doi:10.1038/475150a

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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