Le civiltà sepolte di Nubia

Villaggi, necropoli e templi che hanno segnato la storia della civiltà nella valle del Nilo dalla preistoria al medioevo. E che, miracolosamente sopravvissuti alla furia del tempo, rischiano ora di scomparire per sempre, erosi dal vento e sommersi dalle acque del Nilo. E’ la Nubia, una piccola regione dell’Africa nordorientale, a cavallo tra Egitto e Sudan, rivelatasi fin dagli anni Sessanta generosa di informazioni storiche spesso inaspettate. Di questo hanno discusso archeologi, filologi e studiosi di varie discipline convenuti al decimo Congresso Internazionale di studi Nubiani svoltosi dal 9 al 14 settembre a Roma presso l’Università “La Sapienza”. “Uno dei risultati maggiori”, ha spiegato Alessandro Roccati, ordinario di Egittologia presso la facoltà di lettere e filosofia dell’ateneo romano e membro del comitato organizzatore dell’evento, “è stato il ritrovamento nella zona di Kerma di una tomba circondata da cinque mila capi di bestiame che, nell’escatologia dell’antico Egitto, erano destinati ad accompagnare il re defunto nell’aldilà. E poi palazzi, ceramiche raffinatissime con decorazioni di tipo africano ed egizio, architetture di tipo greco. Insomma una sequenza di alte civiltà che cambiano l’immagine dell’Africa: da territorio primitivo e semiselvaggio a continente ricco di tesori archeologici e storici”.Notevoli pure le tracce lasciate dal cristianesimo. “Nella Nubia vi furono tre regni cristiani”, va avanti l’esperto, “in quello settentrionale, detto di Faras, è stata trovata una città di cattedrali con ricchissime pitture ben conservate (divise ora tra i musei di Khartum e di Varsavia), nonché conventi con decorazioni e iscrizioni. Tuttavia, la cristianità in Nubia si esaurì. Fu un evento importante, a detta degli stessi musulmani, ma limitato nel tempo”. Dai cimiteri, che sono tra le strutture meglio conservate, sarebbero inoltre venuti alla luce chiari resti di sacrifici umani. “Sempre a Kerma”, continua Roccati, “sono state trovate tombe di re con un ampio stuolo non solo di animali, ma anche di servitori immolati per accompagnare il defunto nel suo viaggio oltre la morte. Si tratta di un’usanza molto diffusa e che si è conservata a lungo nel tempo, approssimativamente dal 5000 al 2000 avanti Cristo”. Questa porzione d’Africa, limitata a est dal Mar Rosso e a ovest dal deserto della Libia, sorprende per l’abbondanza di documentazione archeologica. A tal punto che il Congresso Internazionale di studi Nubiani viene convocato puntualmente ogni quattro anni nelle più prestigiose università europee e americane per dar conto degli esiti dei nuovi scavi e dello sviluppo di nuove metodologie. L’evento pone dunque l’ateneo romano all’avanguardia nello studio delle antichità, “riconoscendo”, sottolinea lo studioso, “il lavoro iniziato alla fine degli anni Sessanta in Egitto e in Nubia da Sergio Donadoni (professore emerito di egittologia presso “La Sapienza” e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, ndr) e dando un forte impulso ad approfondirlo”.E’ quasi un miracolo che questo patrimonio di testimonianze umane sia giunto sino a noi, scampando all’azione erosiva del vento. “Gli strati di limo depositato durante le inondazione del Nilo potrebbero aver protetto quelle parti di insediamenti a noi visibili”, ha spiegato nel suo intervento Mathieu Honegger della Scuola archeologica svizzera, “mentre alcuni resti sono giunti a noi perché ricoperti da strutture archeologiche più recenti oppure perché si trovavano in piccole depressioni al riparo dalla furia del vento”. Tuttavia, non è solo l’erosione eolica a minacciare questo prezioso patrimonio. “Vi è una grossa, drammatica urgenza”, ha affermato Roccati, “costituita dalle inondazioni che potrebbero concentrarsi da qui a breve nella quarta cataratta del Nilo”. Infatti proprio questo tratto della Nubia sudanese, che è poi la più promettente dal punto di vista della ricerca archeologica, sarebbe interessato dalla costruzione della diga di Hamdab che favorirebbe, in caso di piena, lo straripamento del fiume. “Lo stesso pericolo si verificò con la diga di Assuan eretta in Egitto tra il 1960 e il 1968. Un’operazione per la quale fu invocata la supervisione dell’Unesco. In Sudan invece la cosa rischia di passare in sordina sia per ragioni politiche sia perché il Paese è meno frequentato turisticamente”.

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