Le superstrade per fotoni

    Per la tecnologia delle fibre ottiche potrebbe essere l’alba di una vera rivoluzione. Due gruppi di ricercatori inglesi, guidati da Phil Russell del Dipartimento di fisica dell’Università di Bath e da Tanya Monro del Centro di ricerche optoelettroniche dell’Università di Southampton, hanno illustrato al Centro di cultura scientifica Ettore Majorana di Erice, durante un workshop internazionale su “Ottica lineare e nonlineare a livello sub-microscopico”, risultati di ricerche sperimentali che aprono nuovi ed eccitanti scenari. Si tratta di fibre ottiche di nuova concezione che potrebbero risolvere parecchi dei problemi che si incontrano oggi nell’impiego di queste fibre per le telecomunicazioni a lunga distanza.

    Una fibra ottica può essere paragonata a una sorta di tubo: una volta che vi è entrata la luce rimane “intrappolata” e non può fare altro che propagarsi lungo la fibra riflettendosi sulle sue pareti. La fibra ottica è anche, e di gran lunga, il canale più veloce per la trasmissione di dati, milioni di volte più veloce dei tradizionali cavi di rame. Purtroppo però l’impiego delle fibre ottiche presenta qualche problema. Nelle medie e lunghe distanze, per giungere a destinazione, un segnale che viaggia all’interno di una fibra ottica tradizionale si affievolisce e deve essere amplificato. Ciò comporta un notevole costo aggiuntivo visto che ogni amplificatore costa circa un milione di dollari. Per esempio, il cavo sottomarino per trasmissione a multifrequenza che collega Roma con Palermo – attivato lo scorso anno e lungo meno di mille chilometri- necessita di ben quattro amplificatori di segnale. Inoltre, a ogni amplificazione si aggiunge necessariamente del “rumore”, cioè fluttuazioni incontrollate delle frequenze che alterano la qualità del segnale trasmesso. Per un cavo sottomarino che attraversa l’Oceano Pacifico servono oltre duecento amplificazioni.

    Le nuove fibre sono costruite in modo che al loro interno esista una serie di canali d’aria, con un canale vuoto di diametro maggiore al centro in cui la luce viene guidata. E’ il contrario di quanto avviene nelle fibre ordinarie costituite da un’anima centrale con indice di rifrazione maggiore, e da un rivestimento esterno con indice minore. Per ottenere questo risultato i fisici inglesi sono partiti da un gran numero di fibre con un canale vuoto al centro delle dimensioni di un paio di millimetri. Dopo averle accostate a fascio, un po’ come fossero bucatini, le hanno riscaldate fino a circa duemila gradi facendole incollare l’una all’altra ottenendo un fascio di circa un centimetro di diametro. Hanno quindi “stirato” il fascio fuso ottenendo una sorta di bacchetta di vetro attraversata da numerosi e microscopici canaletti. La nuova fibra, che a questo punto della lavorazione ha un diametro di non più di un millimetro, consente di trasportare luce visibile indipendentemente dalla lunghezza d’onda.

    Secondo Francesco Michelotti, ricercatore al Dipartimento di energetica dell’Università “La Sapienza” di Roma “questo lavoro consente di ottenere comportamenti ottici particolari sfruttando la disposizione geometrica a livello microscopico di materiali semplici: in pratica, le proprietà del materiale possono essere progettate a tavolino in base alle esigenze di chi deve impiegarlo”. I due esperimenti illustrati al “Majorana” dimostrano che lavorando sulle geometrie dei materiali semplici si possono ottenere risultati sorprendenti. In questo caso, variare le dimensioni dei canali all’interno della fibra, come pure la distanza fra un canale e l’altro, equivale a realizzare una fibra ottica con caratteristiche diverse. Ed è proprio sulla geometria della nuova fibra che lavoreranno le aziende leader del settore. Perché infatti il lavoro degli inglesi non è sfuggito all’attenzione delle industrie. Attenzione testimoniata, per esempio, dalla presenza a Erice di una delegazione della divisione ricerca della Pirelli, azienda impegnata da tempo nella fabbricazione di fibre ottiche.

    La scoperta dei ricercatori inglesi non rimane confinata al campo delle fibre ottiche. Secondo Mario Bertolotti, docente all’Università “La Sapienza” di Roma e direttore del workshop, “la possibilità di costruire materiali compositi che presentano un comportamento ottico progettabile a priori apre la strada a un vasto ventaglio di applicazioni”. La maggior parte delle strutture di cui si è discusso a Erice hanno dimensioni del milionesimo di millimetro, mentre le parti che le compongono arrivano addirittura al miliardesimo di millimetro. Se il futuro dell’elettronica è nei dispositivi che riusciranno a controllare i singoli elettroni, quello della fotonica sarà invece di sostituire gli elettroni con i fotoni e comandarli per eseguire le operazioni desiderate. Le tecniche che permettono di creare le cosiddette “Photonic Band Gap”, ovvero strutture in cui la luce può essere intrappolata come gli elettroni in un metallo o in un semiconduttore, stanno proliferando. Ed è proprio la possibilità di “controllare” la corsa dei fotoni che apre la strada ai rivoluzionari computer ottici.

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