L’elettrone fatto a pezzi

Nessuno se n’era accorto: quegli esperimenti realizzati in Minnesota alla fine degli anni Sessanta erano stati archiviati, ma oggi potrebbero incrinare il maestoso edificio della fisica moderna. Questo almeno secondo Humphrey Maris, professore di fisica e ingegneria alla Brown University di Rhode Island, negli Usa, che ha reinterpretato gli inspiegabili risultati di allora giungendo alla conclusione che l’elettrone si è diviso in frammenti, battezzati “elettrini”. Non si tratta solo di aggiungere una particella allo zoo di quelle note. Se Maris ha ragione occorre ammettere che l’elettrone, finora ritenuto la più leggera particella subatomica, è divisibile. E nonostante lo scetticismo sollevato, nessuno è ancora riuscito a dimostrare l’errore di questa “eresia”.

Se le implicazioni sono sconcertanti, gli esperimenti sembrano invece innocui. Verso la fine degli anni Sessanta Jan Northby e Mike Sanders dell’Università del Minnesota studiavano il comportamento di elettroni iniettati in elio liquido. Quando le temperature in gioco sono di pochi gradi superiori allo zero assoluto (-273 °C), gli elettroni in eccesso non possono legarsi all’elio (per il principio di esclusione di Pauli), quindi respingono i suoi atomi formando bollicine nel liquido. Ciascun elettrone resta confinato all’interno di una bolla, occupando uno spazio corrispondente a circa 700 atomi di elio. I ricercatori sottoposero il liquido a un campo elettrico e si accorsero che la corrente aumentava quando le bolle venivano illuminate. Pensarono che la luce liberasse qualche elettrone, ma il ragionamento non reggeva. “Sappiamo che gli elettroni liberati formano subito nuove bolle, la corrente non avrebbe dovuto aumentare”, afferma Maris. Esperimenti analoghi vennero ripetuti nel 1984 da Peter McClintock dell’Università di Lancaster, in Gran Bretagna, e nel 1992 nei Bell Labs in New Jersey. I risultati restavano inspiegabili. Finora.

Maris ha calcolato l’effetto dell’illuminazione sull’elettrone nella bolla: “Ho trovato che la forza esercitata dall’elettrone illuminato con la luce giusta è sufficiente a far allungare la bolla fino a formare al centro una strozzatura”. Se la pressione del liquido è sufficiente, la strozzatura si assottiglia, fino a che la bolla si divide in due. E cosa ne è dell’elettrone? La funzione d’onda che lo rappresenta si suddivide tra le bollicine. Insomma, restano due “mezzi-elettroni”, due “elettrini”. Prima di testare il suo modello in laboratorio, Maris ha riesaminato gli esperimenti già realizzati. Quello del Minnesota faceva proprio al caso suo: la corrente aumentava perché le bollicine di elettrini “sono più piccole, si muovono più velocemente”. Non solo: esiste una temperatura critica – 1,7 gradi sopra lo zero assoluto – al di sopra della quale l’effetto non si verifica. Infatti, calcoli alla mano, per temperature superiori l’elio ha una viscosità tale da resistere all’allungamento della bolla che precede la formazione delle due bollicine.

Maris stesso era incredulo all’inizio. “Mi ci è voluto del tempo per abituarmi all’idea e raccogliere il coraggio necessario ad annunciarla”, ammette. Solo a giugno di quest’anno si è sbilanciato presentando il suo lavoro in una conferenza su solidi e fluidi quantistici e poi pubblicando un articolo sul Journal of Low Temperature Physics. Alla conferenza c’era anche Peter McClintock, autore di uno degli esperimenti riesaminati. “La mia prima reazione è stata di estremo scetticismo”. E pur non essendo ancora del tutto convinto, ammette che nessun altro ha proposto una spiegazione: “L’idea dell’elettrino è una possibile via d’uscita”. Non si dà pace invece Antony Legget, esperto di teorie quantistiche all’Università dell’Illinois: “L’idea che un elettrone si separi in due frammenti di carica frazionaria è totalmente incompatibile con la teoria quantistica di campo”. Meglio immaginare uno strano stato “sovrapposto”, in cui l’intero elettrone si trova in entrambe le bollicine, fino a che una misura non lo costringe a scegliere in quale. Almeno questo sarebbe un comportamento tipicamente quantistico.

Maris sa bene di non avere prove definitive, per questo sta cercando nuovi risultati sperimentali. La maggior parte dei fisici è convinta che la sua ipotesi sia destinata a cadere, sebbene non sappia indicare perché. In ogni caso, il suo lavoro dà ai teorici l’opportunità di chiarire quale significato attribuire alla funzione d’onda. Finora è stata considerata alla stregua di un espediente matematico con conseguenze osservabili, Maris sostiene invece che “la funzione d’onda sembra un oggetto tangibile”: la bolla che non la contiene, collassa. Se la funzione d’onda è reale, allora quando si divide nelle due bollicine anche l’elettrone si divide. Se ha ragione lui, la teoria quantistica finora usata è inadeguata. E se ha torto? Sportivamente, risponde: “Sarei felice anche se scoprissi di essermi sbagliato completamente, pur di aver fatto riflettere molto la gente”.

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