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L’eredità ambigua di Monod

Il 30 maggio 1976 la comunità scientifica internazionale perdeva uno dei suoi maggiori esponenti. Jacques Monod, già premio Nobel per la Medicina nel 1965, lasciava in eredità un saggio, “Il caso e la necessità” (1970), e un enorme quantitativo di dubbi, riflessioni e teorie che sarebbero state oggetto di discussione per tutti gli anni successivi. A Jacques Monod l’Accademia Nazionale dei Lincei ha voluto dedicare una giornata di studio, organizzata il 9 gennaio scorso, per discuterne apertamente il pensiero alla luce delle scoperte degli ultimi trent’anni. La presentazione dello studioso, e dell’uomo, nelle parole di Agnés Ullmann e Michel Goldberg dell’Institut Pasteur, mostra un personaggio eclettico e attento alle implicazioni filosofiche della ricerca scientifica. Consapevole della velocità con cui progredisce la ricerca, oltre a “Il caso e la necessità” Monod non pubblica nulla, lasciando decine di manoscritti inediti, proprio perché conscio della velocità di evoluzione della scienza dall’immediato dopoguerra in poi. Nel pieno del suo lavoro scientifico, centrato in gran parte sulla biologia molecolare, Monod recupera il dialogo tra scienza e filosofia, confrontandosi con gli stessi dilemmi che un secolo prima avevano coinvolto la biologia francese (in particolare nell’opera del fisiologo Claude Bernard).

L’opera di Monod si inserisce in due contesti principali, strettamente connessi: da un lato la biologia molecolare che, come sostiene l’autore, “è la più significativa di tutte le scienze, quella che ha contribuito, forse più di ogni altra, alla formazione del pensiero moderno”; dall’altro la riflessione filosofica che emerge dai concetti di caso e necessità, il primo visto come fatto fortuito (per esempio la mutazione genetica), la seconda come teleonomia (lo scopo, il progetto che c’è dietro l’evoluzione). Alla luce di queste riflessioni, la stessa presenza dell’essere umano sulla Terra viene a configurarsi come un unico evento casuale, che relega la nostra presenza a una solitudine “nell’immensità indifferente dell’Universo”. La novità, la creatività, e quindi le mutazioni genetiche, dice Monod, sono frutto del caso. Ma allo stesso tempo, gli esseri viventi sono dotati di un progetto, determinato dalla selezione naturale, che è frutto della necessità. “Il contributo moderno alla biologia molecolare”, dice Edoardo Boncinelli, biologo molecolare, direttore della Sissa di Trieste, “conferma quanto sostenuto da Darwin e Monod. La somiglianza genetica tra gli esseri viventi, mostra che dietro la diversità animale c’è un’unità fondamentale”. Ma se da una parte la necessità porta nell’evoluzione un principio di conservazione, mantenendo le cose il più possibile come sono (Monod parla di “invarianza riproduttiva”), dall’altra il caso porta la novità e la creatività.

Ma è veramente questo il caso all’origine dell’uomo e della vita? Alla luce delle ultime scoperte in campo scientifico, Giorgio Bernardi della Stazione Zoologica di Napoli, è convinto che l’origine della vita sia stata una necessità. Gli stessi fattori che operano sugli oggetti inanimati, sostiene Bernardi, hanno influenzato direttamente, o indirettamente, l’origine della vita e la stessa evoluzione del genoma. L’uomo non è affatto solo nell’immensità della Natura, è anzi, citando il biologo teorico Stuart A. Kauffman, “a casa nell’universo”.Pur riconoscendone le qualità e i contributi, e soprattutto la rilevanza culturale, a Monod viene rivolta una critica di riduzionismo e di meccanicismo, tipici dei suoi tempi, ma che avrebbero portato in una direzione sbagliata le sue conclusioni epistemologiche. Viene infatti da chiedersi, in questa enorme quantità di spunti di riflessione, se vi sia un errore a monte, nella stessa definizione di caso e necessità. Sembrerebbe di sì. Il problema, secondo Giovanni Boniolo dell’Università di Padova, è nella sostanziale indefinibilità dei termini in questione, il cui valore andrebbe inteso in termini di “probabilità”. Consideriamo, cioè, casuale un evento molto improbabile, e necessario un evento molto probabile. Secondo questa nuova ottica, poiché Monod non dà delucidazioni in merito, viene a sciogliersi il dualismo tra caso e necessità, come già accaduto in molte discipline scientifiche. Ma nonostante il lodevole tentativo di Boniolo, il problema del dualismo monodiano, sembra rimanere sostanzialmente irrisolto.

Jacques Monod lascia una preziosa, seppure delicata, eredità culturale. Pur nelle sue molteplici accezioni (scientifiche, filosofiche o morali), il binomio caso-necessità resta una questione epistemologica di grande valore che, a trent’anni di distanza, ancora suscita opinioni e dibattiti molto differenti che vanno aldilà del rigido meccanicismo dell’autore.

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