Lezioni di garantismo

Guido Vitiello
Non giudicate
Liberilibri 2012, pp. 105, euro 14,00

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L’imperativo del titolo pesa come un macigno sull’esile (in quanto a numero di pagine) libro scritto da Guido Vitiello e confezionato in veste sobria ed elegante dall’editore Liberilibri: perché in quel “Non giudicate” è condensata la potenza di un modello di giustizia che si impone alle viscere e alla mente di chi lo accoglie in modo dirompente.

Per consuetudine, questo modo di pensare viene chiamato “garantismo”, trascurando il fatto che gli “ismi” solitamente indicano posizioni oltranziste che poco si addicono a chi non ha altra ambizione se non quella di vedere semplicemente applicato il diritto. Non c’è traccia di fanatismo in chi crede nella giustizia, in chi sospende ogni giudizio sugli individui per consegnarne le sorti alle leggi. Sciascia, citato da Vitiello, lo spiega in modo lapidario: «Mi ripugna quando mi sento dire che sono un garantista. Io non sono un garantista: sono uno che crede nel diritto, che crede nella giustizia». E Vitiello appare subito della stessa stoffa dello scrittore siciliano.

Soffre quando assiste alle storture dei processi mediatici, alle inquietanti voragini degli impianti accusatori, alle disinvolte affermazioni di giornalisti e maitre a pense impietosi sostenitori delle manette. Il suo dolore è però controllato, il suo stile è “raffinato” (principesco, scrive Giuliano Ferrara nell’introduzione) come il libro che lo accoglie. Di fronte alla drammatica situazione delle carceri il malessere assume toni fortemente malinconici ma non rassegnati. Dalle quattro conversazioni con i veterani del garantismo raccolte nel libro (Mauro Mellini, Domenico Marafioti, Corrado Carnevale, Giuseppe Di Federico) esce un quadro della giustizia italiana non proprio edificante. A partire da discutibili reati spinti a forza entro i confini del codice penale, come il concorso esterno in associazione mafiosa, o dal perverso meccanismo di molti processi che si prefiggono non di «accertare la verità, ma di produrre un colpevole, per placare gli spiriti e assicurare la pace sociale», come dice Mellini, avvocato e leader storico dei Radicali.

Con Domenico Marafioti, avvocato e scrittore scomparso lo scorso anno, scopriamo l’aspetto grottesco delle aule di tribunale colme di «scorie dell’eredità inquisitoria», con Corrado Carnevale apprendiamo che la sciatteria, il disprezzo delle forme, la trascuranza, la leggerezza con cui si abbandona un imputato dietro le sbarre «sono peccati mortali per chi veste la toga». A Giuseppe Di Federico infine, professore di diritto all’Università di Bologna, spetta il compito di entrare nel merito del nostro impianto giuridico, ostinatamente avvinghiato al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, intoccabile dogma di fede trasgredito nei fatti in mille occasioni.

Quattro ritratti d’autore della giustizia italiana che non possono lasciare indifferente il lettore: le ferite di chi soffre a ogni torto subito, a ogni principio violato, torneranno ad aprirsi, le granitiche certezze di chi invece preferisce puntare il dito si sgretoleranno, la rabbia si alternerà alla rassegnazione, il desiderio di lottare per cambiare le cose si confonderà con la sensazione di impotenza. Il piccolo grande libro ci travolgerà con tutta la sua potenza.

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