L’FDA mette in guardia sulla terapia Zamboni

La “terapia della liberazione”, proposta dal medico ferrarese Paolo Zamboni per alleviare i sintomi dei malati di sclerosi multipla affetti da CCSVI (insufficienza venosa cronica cerebrospinale, vedi Galileo) fa ancora discutere. Stavolta a parlare è la Food and Drug Administration – l’agenzia statunitense che si occupa della sicurezza dei farmaci e degli alimenti – che invita medici e pazienti a considerare tutti i possibili rischi derivanti da interventi di angioplastica dilatativa per “liberare” le vene occluse e che impediscono al sangue di essere correttamente drenato. 

Secondo quanto diffuso dalla FDA (qui il comunicato per intero) il problema sarebbe a monte: non esistono studi che dimostrino chiaramente un effettivo legame tra sclerosi multipla e CCSVI, e gli stessi criteri per la diagnosi della CCSVI non sono universalmente riconosciuti. Quindi, in assenza di una correlazione certa, sottoporsi a interventi di disostruzione delle vene potrebbe essere troppo rischioso. La stessa agenzia riferisce di coaguli di sangue, danneggiamento dei nervi cranici, emorragie addominali, ictus, distacco e migrazione degli stent (piccoli cilindri applicati per allargare le vene ostruite) e addirittura di morte tra i rischi associati alla procedura sperimentale.

Complicazioni che non hanno permesso all’FDA di approvare l’angioplastica dilatativa come trattamento efficace contro la CCSVI, come ha spiegato William Maisel del Center for Devices and Radiological Health dell’FDA: “Dal momento che non ci sono prove attendibili da trial clinici controllati che questa procedura sia effettiva nel trattamento della sclerosi multipla, l’FDA incoraggia lo sviluppo di ricerche rigorose e mirate per valutare la relazione tra CCSVI e MS. I pazienti sono esortati a discutere dei potenziali rischi e dei benefici di questa procedura con un neurologo o altri medici che conoscono la sclerosi multipla e la CCSVI, compresi i metodi (di trattamento, nda) della CCSVI e i loro risultati”.

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