Categorie: Tecnologia

Lhc torna a lavoro

“Per favore, non usate le parole on e off”. È una delle prime cose che tiene a specificare Frédérick Bordry, big boss del Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra che, come vi abbiamo raccontato, si sta per risvegliare dopo due anni di stop, programmati per interventi di aggiornamento e manutenzione. In effetti, le parole on e off, per un bestione di 27 chilometri di circonferenza in grado di accelerare protoni fino a un’energia di 13 TeraelettronVolt, non sono le più appropriate. “Lhc non ha un interruttore”, prosegue lo scienziato nel corso della conferenza stampa appena conclusasi a Ginevra. “Stiamo procedendo con estrema cautela, segmento dopo segmento, all’accensione e al riscaldamento della macchina”.

Lhc, in effetti, sarà un acceleratore abbastanza diverso da quello che, nel 2012, ha permesso di individuare il bosone di Higgs. Che, se tutto andrà per il verso giusto, opererà a potenza doppia rispetto a quella precedente. “Abbiamo a che fare con una macchina completamente nuova”, spiega Rolf Heuer, direttore generale del Cern, “che ci permetterà di entrare in una fase nuova della fisica. Arrivare a un’energia più alta ci consentirà di aprire nuove finestre su scenari che, al momento, sono completamente sconosciuti. Ma dobbiamo essere pazienti. Tra due settimane speriamo di vedere le prime collisioni tra protoni. Ma ci vorranno almeno due mesi per arrivare a energie interessanti”. Nonostante l’eccitazione, gli scienziati invitano comunque alla cautela: “Non sappiamo esattamente quando scopriremo qualcosa di interessante. Dipende anche da quanto la natura è stata buona con noi. Da quanto sono ‘nascosti’ gli eventi che cercheremo di osservare”.

Perché i fisici sono così ossessionati dall’energia? La risposta, spiega Tiziano Camporesi, coordinatore dell’esperimento Cms, è in una formuletta piuttosto famosa: E = mc2. “Energia e massa sono equivalenti. Se le collisioni dei protoni accelerati da Lhc riescono ad arrivare a energie più alte, produrranno particelle di massa più grande. Quelle che, finora, non siamo stati in grado di osservare”. In effetti, la fisica delle particelle è tutt’altro che sazia. Restano ancora moltissimi nodi da chiarire. Non si sa, per esempio, se il bosone di Higgs osservato durante il primo run di Lhc sia effettivamente l’unico bosone di quel tipo. “Potrebbe esistere”, continua Heuer, “un’intera famiglia di bosoni di Higgs, e noi potremmo aver trovato uno solo dei figli. Naturalmente, siamo molto interessati alla ricerca dei suoi fratelli”.

Un altro punto cruciale riguarda il Modello Standard, la teoria che spiega le interazioni tra le particelle note. “Il Modello Standard è estremamente preciso per spiegare la maggior parte dei fenomeni dell’Universo visibile. Ma sappiamo che il 95% dell’Universo è composto dalla materia oscura, di cui non conosciamo ancora nulla e per la quale il Modello Standard non consente di fare previsioni”. La speranza è che, aumentando l’energia delle collisioni, si riesca ad accedere proprio al dominio inesplorato della materia oscura, per cercare teorie oltre il Modello Standard. Infine, i fisici useranno i dati del nuovo Lhc per cercare conferme alla teoria della supersimmetria, secondo la quale ogni particella di un certo tipo – fermione o bosone, per la precisione – avrebbe un analogo speculare del tipo opposto.

via Wired.it

Credits immagine: Nuno Castro/Flickr

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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