Dalla fisioterapia all’igiene dentale, fino ai trattamenti antitumorali, le terapie che prevedono l’utilizzo di ultrasuoni stanno acquisendo sempre più spazio in ambito biomedico. L’ultima della lista potrebbe essere quella sperimentata all’Università di Queensland, in Australia, che prevede l’utilizzo di ultrasuoni focalizzati per combattere le placche che causano l’Alzheimer.
Il morbo di Alzheimer è una forma di demenza senile, caratterizzata dalla perdita di memoria, della quale soffrono quasi 45 milioni di persone al mondo. Tra le cause principali c’è la formazione di depositi di proteina β-amiloide (le cosiddette placche amiloidi) che, accumulandosi nell’encefalo, danneggiano la funzionalità dei neuroni.
Nello studio, pubblicato su Science Translational Medicine, il team di Gerhard Leinenga e Jürgen Götz ha cercato di contrastare la capacità distruttiva di queste placche amiloidi, e possibilmente di ripristinare anche le funzioni di memoria perse con la malattia. Per farlo i ricercatori hanno usato alcuni topi come modello animale di Alzheimer, sottoponendoli a fasci di ultrasuoni focalizzati per stimolare cellule della microglia, addette alla difesa immunitaria nel sistema nervoso centrale, permettendo così l’eliminazione delle placche amiloidi. Questi fasci di ultrasuoni focalizzati sono onde che attraversano i tessuti senza danneggiarli, ma sono in grado però di generare un notevole aumento di temperatura se fatti convergere in un unico punto.
Dopo il trattamento a base di cicli di ultrasuoni a bassa intensità (cicli della durata di pochi secondi) per 4-7 settimane, i topi hanno dimostrato un notevole miglioramento nei test cognitivi (come il labirinto). Anche gli esami istologici hanno dato esiti positivi, evidenziato effettivamente la riduzione del 75% delle placche amiloidi (fagocitate dalle cellule della microglia).
Risultati questi molto incoraggianti secondo gli scienziati, che ritengono questo studio un ottimo punto di partenza per sviluppi futuri. Una tecnica come questa, infatti, se applicata ai primi stadi della malattia (ovvero quando le placche non hanno ancora provocato danni irreparabili), può rendere possibile un parziale recupero della memoria.
Credits: Science Translational Medicine Doi: 10.1126/scitranslmed.aaa2512
Credits immagine: Mycroyance/Flickr CC
Secondo gli autori di un recente studio potrebbe contenere informazioni sul sesso e sul concepimento,…
Dopo il segnale incomprensibile, gli scienziati hanno riparato il danno a uno dei computer di…
L’Aifa ha approvato l’estensione della rimborsabilità del trattamento, che era già stato approvato per l'atrofia…
Resistono alle radiazioni potenziando la loro capacità di riparare i danni al dna. Piccolo aggiornamento…
Mai così tanti casi di leptospirosi in un anno dal 2001: a contribuire all’aumento delle…
Potrebbe essere usato in diverse applicazioni come catalizzatore per la conversione dell'anidride carbonica e la…
Questo sito o gli strumenti di terze parti in esso integrati trattano dati personali (es. dati di navigazione o indirizzi IP) e fanno uso di cookie o altri identificatori necessari per il funzionamento e per il raggiungimento delle finalità descritte nella cookie policy.
Leggi di più