Libertà per il software

    Ipotesi: il mercato mondiale dei sistemi operativi e dei software proprietari è dominato al 90 per cento da una sola azienda. E le pubbliche amministrazioni di tutti i Paesi – almeno di quelli che se lo possono permettere – utilizzano questo sistema operativo per mettere online documenti utili a tutti i cittadini. Che cosa succede a quegli internauti che si avvalgono di sistemi realizzati dal restante 10 per cento delle aziende sul mercato? Certamente non potrebbero avere accesso a molte informazioni di dominio pubblico. A dire il vero questo scenario non è poi molto lontano dalla realtà. Sono milioni, infatti, gli utenti di Windows nel mondo e il loro numero supera abbondantemente il 60 per cento del mercato dei sistemi operativi. Non solo: proprio la piattaforma informatica dell’azienda di Bill Gates è il più utilizzato dalle pubbliche amministrazioni che, volenti o nolenti, operano una sorta di discriminazione, impedendo a migliaia di cittadini di accedere a dati di loro interesse.

    Partendo da questa considerazione è stata presentata in Parlamento una proposta di legge che ha l’intenzione di obbligare l’amministrazione pubblica del nostro Paese ad adottare un sistema operativo libero al quale possano accedere tutti. “Lo sviluppo del software libero”, sostiene Fiorello Cortiana, senatore dei Verdi e firmatario del decreto, “è un segnale della globalizzazione dei diritti. E sono molto ottimista sull’approvazione della bozza. Ne ho parlato con il ministro dell’Innovazione e Tecnologie Lucio Stanca e ho riscontrato un grande interesse da parte sua. Inoltre, per occuparsi dello sviluppo della legge è stato costituito un gruppo interparlamentare formato da 50 soggetti di tutti gli schieramenti politici”.

    Ma che cosa è il software libero? Nient’altro che un software distribuito in modo che l’utente ne abbia il permesso di uso, copia e distribuzione. Il codice sorgente è disponibile e ognuno ha il diritto di studiarlo e modificarlo, anche per creare nuovi programmi derivati dalla modifica di uno originale. Ma software libero non significa gratuito. Molti programmi distribuiti in questo modo sono a pagamento e l’azienda produttrice permette la messa a punto di software derivati. E i vantaggi non sono solo questi. Per esempio, Gnu/Linux, sistema operativo libero, è molto più sicuro (praticamente non esistono virus che possono danneggiarlo) e stabile di Windows. Se non altro perché il primo è in continua evoluzione, visto che al codice sorgente possono accedere tutti.In più c’è il problema dello standard. Ultimamente è stata condotta una campagna contro i file con estensione “doc”. Questi possono essere letti esclusivamente con il programma di videoscrittura della Microsoft Word e per inviarli via mail bisogna assicurarsi che anche il destinatario ne sia provvisto. Infine la sicurezza. Non conoscendo i codici sorgente non si sa quanto un software sia protetto da tentativi di infiltrazione. Un problema che non esisterebbe se il programma fosse libero.

    Molte aziende, se pur con fatica, si stanno avvicinando al mondo del software libero. In prima fila c’è senza dubbio l’Ibm. Che a inizio 2001 ha approvato l’investimento di un miliardo di dollari per promuovere e supportare la ricerca, lo sviluppo, le vendite, il marketing e i servizi legati alla piattaforma Linux. Ma non solo la pubblica amministrazione sarà coinvolta nel progetto di legge. Nella bozza si legge infatti che il Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca Scientifica dovrà finanziare ogni anno un programma di ricerca specifico sul software libero: enti pubblici o privati saranno invitati a sviluppare programmi da rilasciare sotto licenza di software libero. Insomma l’idea è anche quella di equiparare la ricerca informatica a quella scientifica. Avrebbe senso infatti se un fisico, un chimico o un matematico tenessero per sé i segreti delle loro scoperte? Sarebbe un po’ come pagare 10 euro ogni volta che si utilizza il teorema di Pitagora.

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