La curiosità per gli studi genetici sulla datazione della nostra specie non è mai stata alta come in questi giorni. “Eva non ha mai incontrato Adamo” si è letto nei giorni scorsi sulle pagine dei quotidiani. A significare che la prima femmina di Homo moderno sarebbe molto più vecchia, e quindi sarebbe apparsa prima sulla faccia della Terra, del primo esemplare maschio. Come sarebbe possibile? Fuor di immagine biblica, è mai pensabile che le femmine della nostra specie si siano aggirate per le immense praterie africane da sole, e soprattutto che si siano riprodotte autofecondandosi? I nomi dei ricercatori impegnati in questa studio e la rivista che ha ospitato la loro lettera, Nature, non lasciano dubbi sulla serietà dei risultati raggiunti. Fra i genetisti anche Alberto Piazza, professore di genetica umana presso la facoltà di medicina dell’Università di Torino e autore insieme a Luca Cavalli Sforza e Paolo Menozzi di “Storia e geografia dei geni umani”, l’imponente opera che ha svelato i percorsi delle migrazioni dei nostri antenati. Gli abbiamo chiesto di spiegarci la portata innovativa dello studio presentato da Peter Underhill della Stanford University e dai suoi colleghi, fra cui lui stesso.
Professor Piazza cosa vuol dire che Adamo non ha mai incontrato Eva?
“Si tratta ovviamente di un’immagine sbagliata. È infatti impossibile che sia comparsa prima la donna e poi l’uomo, perché mai la specie umana è andata avanti autofecondandosi o riproducendosi per partenogenesi”.
Allora qual è la novità del vostro studio?
“Per prima cosa il metodo che abbiamo utilizzato, differente da quello usato nelle precedenti ricerche per la datazione dell’uomo moderno, in cui veniva analizzato il mitocondrio (un organo contenuto nel citoplasma di ogni cellula) che è ereditato per via materna. In un certo senso, questo metodo permette solo di ricavare l’età della femmina di Homo. Per questo si è parlato di “prima Eva”, anche lì usando un’immagine sbagliata. Conoscendo la frequenza delle mutazioni genetiche nel mitocondrio ed effettuando un calcolo a ritroso, si è stimato che i primi esemplari moderni di femmine della specie Homo sarebbero comparsi 130-140 mila anni fa (con un margine d’errore di 10 mila anni). Questo metodo però solleva nella comunità scientifica molti dubbi soprattutto in ragione dell’estrema variabilità di alcune parti del mitocondrio”.
Qual è invece il metodo di datazione che avete utilizzato voi?
“Abbiamo preferito analizzare il cromosoma Y (quello che caratterizza il maschio) perché in esso vi sono alcune regioni che non ricombinano con quello X e permette quindi di tracciare in maniera abbastanza precisa l’età del maschio (visto che si trasmette solo per linea paterna). Andando a ritroso nel tempo invece di trovare una data simile a quella della donna – 130 mila anni – ne troviamo una più recente: tra 60 e 70 mila anni fa con una differenza di 60 mila anni rispetto alla data precedente. Questo però non vuol dire che sia esistita prima la donna e poi l’uomo”.
Cosa significa allora?
“I casi sono tre. Potrebbe darsi che una delle due misurazioni sia sbagliata. Oppure potrebbe dipendere dal fatto che il tasso di evoluzione del cromosoma Y è più lento di quello del mitocondrio, e quindi sbagliamo la misura perché utilizziamo una scala non adeguata. O ancora, come io credo, le caratteristiche genetiche dell’Homo si sono sviluppate prima di 100 mila anni fa e quindi la datazione della linea materna è corretta e indica la comparsa dell’Homo moderno. Quando invece analizziamo il cromosoma Y, in realtà stabiliamo l’inizio dell’”Out of Africa”, il momento in cui Homo lasciò l’Africa e iniziò a colonizzare il resto del pianeta”.
Quindi secondo la sua interpretazione la scoperta pubblicata su Nature avvalorerebbe la tesi “Out of Africa” su cui non tutta la comunità scientifica concorda?
“Tutto il nostro gruppo di ricerca è convinto della tesi “Out of Africa” e la datazione del cromosoma Y rafforza questa convinzione. Esemplari di Homo sono presenti in Africa già 130 mila anni fa come confermano alcuni studi paleoantropologici che hanno messo in evidenza reperti di almeno 105 mila anni. Questo nucleo poi si sposta ed esce dall’Africa 60-70 mila anni fa. E lo dimostrano alcuni reperti trovati in Cina e Australia proprio risalenti a quell’epoca. La migrazione ha portato un cambiamento importante anche nel patrimonio genetico poiché ci si sposta in piccoli gruppi e più piccola è la popolazione più veloce è il mutamento. Con la datazione del cromosoma Y stabiliamo proprio questo: che l’Homo moderno in quel periodo è uscito dall’Africa”.