Lo sguardo preciso al cervello

Nei sotterranei dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, fra resti dell’antica Roma rinvenuti, restaurati e conservati là dove sono rimasti per migliaia di anni, i pazienti vengono condotti per farsi esaminare il cervello. In questo ambiente davvero insolito il paziente si sdraia su un lettino. Per sottoporsi alla magnetoencefalografia (Meg), un esame in grado di misurare la piccolissima quantità di magnetismo indotto dalle cellule del cervello umano spontaneamente, o in risposta a stimoli esterni. L’esame fornisce informazioni utili soprattutto in seguito a un ictus, nei pazienti affetti da attacchi epilettici e in quelli malati di tumori cerebrali. La fotografia scattata dalla Meg è più precisa di quella fornita da altri esami, come la Pet (tomografia a emissione di positroni) o l’elettroencefalogramma. Osservandola attraverso sofisticati computer, è possibile infatti non solo individuare il gruppo di cellule cerebrali che si attivano in seguito a uno stimolo, ma anche la sequenza temporale in cui lo fanno. Una questione di millesimi di secondo.

La Meg sfrutta la proprietà del campo magnetico di non essere influenzato dagli involucri che circondano e proteggono il cervello, cioè la scatola cranica e le meningi. E riesce quindi a individuare con esattezza quello che succede sotto i sensori posti su una parte del cranio del paziente. L’esame non è né invasivo né doloroso, basta solo pazientare al massimo un’ora e mezza, a seconda del livello di approfondimento che si vuole raggiungere. “Le cellule cerebrali sono come fili elettrici”, spiega Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze presso il Fatebenefratelli, “e oltre a un campo elettrico ne creano uno magnetico”. E la macchina riesce a rilevare proprio questa attività in maniera nitida. “Nei pazienti colpiti da ictus”, prosegue Rossini, “l’attenzione è rivolta alla zona denominata “bella addormentata”, l’area di penombra che circonda il nucleo colpito, dove si trovano cellule per così dire addormentate”. È questa la chiave per il recupero del paziente, perché la reattività di queste cellule nei giorni immediatamente successivi all’episodio ci dice se c’è speranza di poterle riabilitare.

Un’altra capacità della Meg è quella di seguire la ricostruzione di circuiti nervosi alternativi a quelli danneggiati. Il cervello infatti si riorganizza dopo una lesione, recuperando in parte o del tutto la funzionalità perduta, anche dopo molti mesi. “Nel cervello solo il 20 per cento dei circuiti è utilizzato e se la lesione non ha colpito tutta la zona cerebrale che sovraintende a una determinata funzione, per esempio appunto la capacità di muovere la mano, allora se ne possono attivare degli altri”, spiega Rossini. La Meg è essenziale anche durante la riabilitazione perché ne evidenzia gli effetti a livello cerebrale. Un esempio? Nelle forma di epilessia focale (in cui cioè un gruppo ben distinto di cellule nervose è responsabile dell’innesco delle crisi) l’esame permette di identificare proprio il focolaio e di misurare l’evoluzione nel tempo anche con una valutazione – pur se approssimativa -del numero di cellule nervose che vi contribuiscono. Infine, da annoverare c’è anche il contributo che questa macchina dà in caso di tumore: la Meg identifica – attraverso le tre coordinate spaziali – le aree del cervello che presiedono alle attività principali e permette così di stabilire quanto queste siano nelle vicinanze della massa da asportare. Se queste informazioni vengono lette da un robot, le possibilità per il chirurgo di “toccare” inavvertitamente una zona cruciale si riducono al minimo.

I prodigi medici di questa macchina non gli sono valsi però un posto d’onore: in Italia, quella del Fatebenefratelli è l’unico esemplare utilizzato per scopi clinici. E si tratta di un prototipo rimasto a livello progettuale da più di 20 anni. “Negli anni Ottanta il gruppo di ricercatori del Cnr che lavorava alla Meg era all’avanguardia ed era in competizione con gruppi analoghi in Giappone, Finlandia e Stati Uniti”, spiega Franca Tecchio che, con Carlo Salustri costituisce il nucleo di fisici del Cnr-Iess, oggi al lavoro sulla Meg nei laboratori dell’ospedale. Oggi purtroppo se un ospedale si vuole dotare di questa apparecchiatura deve spendere miliardi e rivolgersi a un’azienda straniera. Colpa di scelte strategiche sbagliate. Da circa un anno però la macchina è entrata finalmente in funzione grazie a una convenzione fra il Cnr e il Fatebenefratelli: l’équipe multidisciplinare guidata da Rossini – grazie anche al contributo dell’Afar, l’associazione dell’ospedale per la ricerca – ha potuto lavorare sui pazienti dell’ospedale e raccogliere dati clinici. Che serviranno, sperano i ricercatori, a convincere il Sistema sanitario nazionale a passare l’esame in convezione.

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