Categorie: Vita

Lo spazio come intuizione

Kant aveva ragione: l’idea dello spazio è innata e non dettata dall’esperienza, per lo meno nei ratti. Secondo una ricerca pubblicata su Science, in questi animali il senso della direzione appare fin dalle prime fasi dello sviluppo, prima ancora che sia iniziata l’esplorazione dell’ambiente circostante da parte dei nuovi nati. La scoperta, cui ha partecipato anche l’italiana Francesca Cacucci dell’University College di Londra, è dei ricercatori del Norwegian University of Science and Technology. Lo studio, il primo a indagare la costruzione della rappresentazione cerebrale dello spazio durante le prime fasi dello sviluppo, può avere implicazioni anche per la comprensione del cervello umano.

Per capire se la percezione dello spazio abbia o meno una componente innata, i ricercatori hanno posizionato nel cervello di ratti appena nati, che ancora non avevano aperto gli occhi, dei microelettrodi per registrare l’attività dei neuroni dell’ippocampo, la zona addetta alla ‘navigazione spaziale’. In quest’area sono presenti tre classi di neuroni in grado di fornire una ‘mappa cognitiva’ dell’ambiente: le cellule di posizione, che individuano la porzioni di spazio occupata dall’animale; quelle di direzione del capo, incaricate di determinare quale sia la direzione della testa; e le cellule griglia che calcolano la distanza percorsa dall’animale tra due punti dello spazio.

In questo modo gli scienziati sono stati in grado di registrare, a due settimane dalla nascita, l’attività neurale correlata alla prima “spedizione” dei ratti al di fuori della loro tana, e capire quali neuroni erano già attivi e quali ancora in corso di maturazione. Dai dati raccolti, i ricercatori hanno scoperto che le cellule direzionali erano già presenti negli animali alla loro prima esplorazione dell’ambiente. Inoltre queste cellule sembravano essere qualitativamente identiche a quelle del ratto adulto. Erano presenti, ma non attive come nell’animale maturo, anche le cellule di posizione, mentre quelle griglia sono comparse solo più tardi, a qualche giorno di distanza. I ricercatori non hanno individuato nessuna differenza tra maschi e femmine, a dimostrazione del fatto che le “capacità di navigazione” nello spazio non sono, almeno a questo livello, genere-specifiche.

“I risultati del nostro studio”, spiega Francesca Cacucci a Galileo, “suggeriscono che in alcuni aspetti della rappresentazione dello spazio, come la direzione, c’è una forte componente innata. Per altri aspetti, come quello della rappresentazione delle distanze, l’esperienza dell’ambiente è probabilmente un requisito fondamentale affinché le connessioni neurali vengano organizzate”. (a.l.b.)

Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1188224

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