L’ombra lunga della Prestige

Sada (La Coruña) – La terza marea nera è arrivata. Nella notte tra sabato 14 e domenica 15 dicembre, enormi macchie di petrolio hanno nuovamente inondato le coste della Galizia.. Ma stavolta le manchas, come le chiamano gli spagnoli, non minacciano solo le spiagge di Cabo Finisterre, Muxìa, Carnota. Negli ultimi giorni chiazze di petrolio sono state raccolte anche nelle Asturie e in Cantabria. Mentre davanti alla coste portoghesi un’altra chiazza dalle dimensioni enormi minaccia di riversarsi a terra. L’ennesimo disastro ambientale è iniziato lo scorso 15 novembre quando la Prestige si è arenata davanti alle coste della Galizia per poi aggravarsi quattro giorni dopo quando la petroliera è stata fatta colare a picco al largo della costa galiziana, portando a 3500 metri di profondità il suo carico da 77 mila tonnellate di greggio. Proprio la decisione di fare affondare lo scafo in alto mare è ora al centro di polemiche: “La prima falla si è aperta quando la petroliera si trovava molto più vicina alla terra ferma. Dal faro si vedeva a occhio nudo”, dice Juan, pescatore di Camariña, un piccolo paese vicino a Muxìa. “Dopo qualche giorno hanno trasportato la nave al largo, dove è affondata. E’ stato un errore, dovevano farla entrare in un porto e cercare di limitare il danno. Così hanno fatto peggio, adesso è tutto contaminato dal petrolio per centinaia di chilometri”. Ma a un mese dal fatto ancora non è chiaro di chi sia stata la responsabilità, chi sia stato a decidere in quelle ore cruciali il destino della Prestigi e del suo carico, se il governo centrale di Jose Maria Aznar o quello regionale presieduto da Manuel Fraga, ex ministro di Franco che governa la Galizia da dodici anni. Al disastro ambientale si aggiunge quello sociale ed economico. “Da quando è affondata la petroliera non possiamo più lavorare”, spiega il pescatore galliego. “Passiamo le giornate cercando di pulire quei tratti di costa dove non arrivano l’esercito e i volontari”. Non è un lavoro semplice. Vicino a Juan c’è un enorme vasca di metallo grigio, piena fino all’orlo di catrame nero, più denso della pece e più puzzolente dei fumi di una raffineria. Accanto ci sono pale, secchi e un cartello in spagnolo che suona più o meno così: “Guardate di meno e aiutate di più”. Appena si mettono i piedi nel petrolio ci si rende conto di che cosa vuol dire spalare quella melma nera. La quantità è impressionante, non si sa da che parte cominciare per raccoglierlo. Ci si accorge subito che lo strumento più utile sono le mani perché la materia che arriva sulla spiaggia e sulle rocce è troppo densa e pesante per le pale. Rimane appiccicata dappertutto: sugli attrezzi ma anche sui guanti e sotto gli stivali. Ogni tanto poi bisogna fermarsi perché le esalazioni passano nonostante la mascherina con il doppio filtro e a quello degli idrocarburi si unisce l’odore di solfuro che arriva non appena viene tolto il primo strato di petrolio. Sono le alghe e gli altri organismi marini in decomposizione. “E’ una vera tragedia”, commenta Juan. “Per adesso il governo ci dà dei soldi, ma ancora per quanto? Sei mesi, un anno forse. E poi? Saremo costretti ad andare in un altro paese per lavorare…”. Ma non tutti la pensano come il pescatore di Camariña. La maggior parte della gente che lavorava in mare si lamenta, ma non troppo. A raffreddare gli animi ci sono i 1200 euro che arrivano dal governo ogni mese, più 700 euro per i proprietari delle barche. Chi era disoccupato adesso può andare a lavorare a cottimo per pulire le spiagge. Dai 40 agli 80 euro al giorno di cui approfittano soprattutto le donne che in questo modo fanno arrivare a casa un altro stipendio. Farsi reclutare è abbastanza facile, basta andare in uno dei numerosi container della Tragsa, la compagnia che ha ottenuto l’appalto per la pulizia delle spiagge dalla giunta della Galizia. Una società, per metà statale e per metà privata, a cui molti contestano la poca esperienza in fatto di emergenze di questo tipo: fino a un mese fa infatti si occupava della manutenzione dei boschi e delle piante sui cigli delle strade.”Lavoratore o volontario? Per quanti giorni?”. Gli addetti della Tragsa accolgono così coloro che si presentano, e distribuiscono tute, maschere, stivali e guanti in quantità industriali. Per mangiare poi c’è la mensa allestita sotto il tendone dell’esercito e per dormire si va in un padiglione o in un ostello, basta adattarsi. Almeno nei giorni lavorativi. Nel fine settimana è diverso perché sulle coste galiziane arrivano migliaia di volontari da tutta la Spagna. Molti anche dall’Italia e dalla Francia. La maggior parte sono studenti universitari o ambientalisti legati a qualche associazione pieni di voglia di dare una mano come possono. C’è chi pulisce le spiagge e chi va in giro per la costa cercando di salvare gli uccelli che sono rimasti invischiati nel petrolio. “Ci arrivano una media di 30 uccelli al giorno” spiega Xavier, veterinario e direttore del centro di recupero fauna selvatica di Santa Cruz. “All’inizio arrivavano quelli completamente sporchi di petrolio che non riuscivano più a volare. Il loro problema principale era quello di avere una temperatura corporea molto bassa, dovuta all’effetto che gli idrocarburi hanno sulle piume: distruggono lo strato lipidico rendendo quindi i volativi permeabili all’acqua. Adesso oltre a questi, iniziano ad arrivare anche gli uccelli che hanno solo qualche macchia sul piumaggio, ma che stanno male perché si sono intossicati ingerendo il petrolio. Per loro è molto difficile fare qualcosa. E purtroppo questa è una situazione che andrà avanti per chissà quanto tempo”. Intanto dal fondo dell’oceano, la Prestige continua a versare in acqua 125 tonnellate di greggio al giorno. Una situazione drammatica per l’ecosistema delle coste galiziane e per l’economia dell’intera regione. E che adesso preoccupa anche i paesi vicini, soprattutto Francia e Portogallo.

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