L’onda lunga del trauma

Il trauma è come un sasso gettato in uno stagno. Coinvolge tutto ciò che circonda a persona traumatizzata, generando situazioni difficili da gestire e costi sociali di una certa entità. E i disagi che seguono incidenti o gravi malattie possono farsi sentire anche dopo parecchio tempo. Da alcuni studi condotti negli Usa negli scorsi anni si è osservato che almeno il 5 per cento degli uomini e circa il 12 per cento delle donne soffrono di disturbi da stress post traumatico (Ptsd, o Post Traumatic Stress Disorder). In Italia non esistono ancora statistiche né tantomeno è nata l’esigenza di formare personale specializzato a lenire tali disagi. Basti pensare che negli ospedali italiani gli psicologi sono appena un centinaio. A lanciare l’allarme è Maura Sgarro psicologa clinica del Centro traumatologico ortopedico di Roma che, dal 1998, ha riunito un gruppo di medici, psicologi e sociologi disposti a dare il loro contributo per studiare il fenomeno nel nostro paese. All’argomento Sgarro ha anche dedicato un libro (Post Traumatic Stress Disorder, aspetti clinici e psicoterapie, edizioni Kappa) e avviato un ciclo di conferenze su “Gravi traumi, stress e salute”.

“In alcuni paesi europei i traumi sono più studiati”, afferma Sgarro, “in Francia, per esempio, sono nate strutture pubbliche specifiche per il loro studio e trattamento. In Italia siamo in netto ritardo, mentre negli Usa sono argomento di studio già da molto tempo”. E’ proprio qui che si è cominciato a studiarli dopo la Seconda guerra mondiale e la guerra del Vietnam che spesso hanno lasciato nei reduci, disturbi post-traumatici come forti depressioni e problemi di adattamento. Questi studi hanno fornito un quadro più oggettivo della precedente visione psicoanalitica del trauma, maggiormente connessa alla dimensione intrapsichica, piuttosto che alla tipologia del trauma.

Oggi è indiscutibile l’evidenza clinica del forte impatto determinato sulla persona da eventi estremi di forte intensità. Il manuale diagnostico psichiatrico americano di riferimento definisce “traumatico” un evento che ha messo a rischio l’integrità fisica sino al rischio di morte del soggetto e ha provocato una intensa reazione di paura e di orrore. Si tratta di eventi estremi e inaspettati come le catastrofi naturali, gli infortuni, atti di violenza e aggressioni, maltrattamenti e abusi sui minori e sulle donne. “Tuttavia, oggi possiamo utilizzare questa terminologia anche in altre situazioni”, prosegue Sgarro, “per esempio per alcune malattie o interventi chirurgici, o per il terrorismo psicologico sul posto di lavoro. Pensiamo inoltre agli incidenti stradali, sul lavoro e nello sport: stress, pur non eccezionali, possono talvolta rivoluzionare intere esistenze”. Non ne sono esenti gli operatori stessi che possono andare incontro alla cosiddetta traumatizzazione vicaria (o burn-out), lo stress causato dal difficile trattamento dei pazienti. Anche i parenti delle persone gravemente malate (per esempio affette dal morbo di Alzheimer) sono a rischio di stress connessi all’assistenza e allo shock del familiare malato.

Alla fase acuta da stress acuto, che in genere non supera le quattro settimane, può seguire appunto la Ptds, che può durare anche diversi anni. Gli studi hanno individuato una rosa di disturbi comuni a tutti i tipi di trauma. Si va dalla depressione, che colpisce i traumatizzati in un alta percentuale di casi, agli attacchi d’ansia e di panico, alle fobie. Ci sono poi i disturbi psicosomatici (disturbi gastrici, dermatiti, cefalee) e quelli del sonno, del comportamento alimentare e sessuale. Inoltre si manifesta spesso l’abuso di fumo e di alcol. Le condizioni di salute di un traumatizzato possono quindi degenerare rapidamente. Quali possono essere le conseguenze della scarsa conoscenza del fenomeno e del mancato trattamento?

“Spesso ci è impossibile rilevare i casi di persone traumatizzate e far fronte soprattutto a quelle situazioni sommerse, quali gli abusi e i maltrattamenti”, continua Sgarro. “E diverso negli Usa, il medico di base può contare su questionari di rilevazione, che permettono di effettuare un’anamnesi accurata e stabilire se determinati disturbi siano conseguenza di un trauma”. Infatti la reazione a un trauma può variare molto da a seconda del paziente e il Ptsd può insorgere anche ad anni di distanza. “Mi è capitato di curare una paziente che ha subito un abuso all’età di nove anni e che ha sviluppato sintomi post-traumatici a sedici”, continua Sgarro.

Ma non è tutto. Il trauma colpisce solo la persona che lo subisce, poiché ha ripercussioni sociali ed economiche rilevanti. Il traumatizzato ha spesso problemi anche all’interno del nucleo familiare e in ambito sociale. Alcuni esperti Usa hanno addirittura parlato di trasmissione intergenerazionale del trauma. E’ il caso dei figli di persone abusate che a loro volta sono a rischio. Ecco perché è opportuno che lo studio e il trattamento dei traumi non venga affrontato da un singolo professionista, ma da un gruppo di esperti. Prima di tutto è necessario formare il personale, sia dal punto di vista sanitario e che del supporto psicologico e sociale. Bisogna sostenere una nuova cultura anti-traumatica che si basi su valori di rispetto, collaborazione e aiuto. Seguendo magari l’esempio del Centro traumatologico ortopedico romano che, dallo scorso ottobre, ha attivato un ambulatorio di psicologia specialistica nel settore con particolare attenzione ai traumatizzati da incidenti stradali (per comunicazioni: grastress@yahoo.it).

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