Categorie: Salute

Luce sulla sindrome dell’X fragile

Scoperto un nuovo collegamento tra due proteine in uno studio sui meccanismi e sugli effetti della sindrome dell’X fragile, la più frequente forma di ritardo mentale ereditario. La ricerca è stata condotta a Roma presso la Fondazione Santa Lucia da Claudia Bagni, con il finanziamento di Telethon, in collaborazione con le Università “Tor Vergata”, Seth Grant e Kristen Dickson dell’Università di Edimburgo e il gruppo di Giovanni Neri dell’Università Cattolica di Roma. I risultati saranno pubblicati a maggio su “Nature Neuroscience”.

La sindrome dell’X fragile dipende dalla proteina Fmrp (Fragile Mental Retardation Protein), codificata da un gene presente sul cromosoma X. Alterazioni di questo gene conducono ad anomalie nello sviluppo neuronale con conseguente ritardo mentale. Dallo studio è emerso che la Fmrp controlla la sintesi di un’altra proteina, la PSD-95, e in particolare assicura che il suo Rna messaggero (una sorta di “stampo” usato dalle cellule per produrre correttamente specifiche proteine) svolga la propria funzione all’interno delle spine dendritiche, punti di contatto delle cellule nervose dove avviene la trasmissione dei segnali e dove risiedono i processi di memoria e apprendimento.

Si è osservato che in alcune cavie con scarsa proteina Fmrp, in particolare all’interno dell’ippocampo (struttura cerebrale colpita sia nei pazienti con la sindrome dell’X fragile sia in quelli con altri disturbi della memoria e dell’apprendimento), l’Rna messaggero di PSD-95 diminuiva rapidamente, portando ad alterazioni nella trasmissione dei segnali nervosi. Anomalie nella formazione dell’ippocampo potrebbero anche contribuire a malattie come autismo, schizofrenia ed epilessia.

La sindrome dell’X fragile porterebbe, dunque, anche a una riduzione della proteina PSD-95, con conseguenze sia nello sviluppo del cervello sia nei processi di memoria. Conosciuta da 15 anni, la sindrome ha un’incidenza di circa un caso ogni duemila maschi e di uno ogni quattromila femmine, mentre la frequenza dei portatori sani è stimata rispettivamente tra uno ogni 250 maschi e uno ogni 800 femmine. Al momento non esistono cure, ma lo studio dei meccanismi di base, come quello condotto da Bagni, apre la strada alla possibilità di individuare terapie innovative. (m.g.)

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