L’umanità salvata dal sesso

La qualità dei nostri geni sta lentamente peggiorando? L’Homo sapiens si estinguerà, schiacciato dalle mutazioni dannose che naturalmente si verificano nel suo sventurato genoma? E soprattutto, tutti i leggeri acciacchi che ognuno di noi si porta dietro (dal mal di testa alla miopia alle difficoltà digestive) sono il risultato di una “degenerazione” del genoma umano? La domanda non è priva di senso, visto il risultato a cui sono arrivati Adam Eyre-Walker dell’Università del Sussex e Peter D. Keinghteley dell’Università di Edimburgo, che, come si legge nello studio pubblicato su Nature, hanno calcolato il tasso di mutazioni che avvengono nella nostra specie in ogni generazione. E l’hanno trovato sorprendentemente alto.

Ma andiamo per ordine. In ogni specie vivente, dai virus all’uomo, nel corso delle generazioni si verificano dei cambiamenti nella struttura dei geni. Si tratta di mutazioni puntiformi, che riguardano cioè singole basi del Dna, o di mutazioni cromosomiche, che hanno invece a che vedere con la struttura o con il numero dei cromosomi. La maggior parte delle mutazioni è neutra: non favorisce né danneggia l’individuo portatore. Altre mutazioni, invece, in una percentuale che fino a oggi non era stata mai calcolata, sono appunto deleterie. Quelle neutre tipicamente si verificano in quelle regioni del genoma che non vengono tradotte in proteine, per esempio negli introni o nei cosiddetti pseudogeni. Quelle dannose invece riguardano regioni genomiche codificanti. In questo caso codificanti per proteine “sbagliate”, incapaci di svolgere correttamente le loro funzioni nell’organismo. Solo raramente si verificano mutazioni vantaggiose, ma proprio queste guidano l’evoluzione verso nuovi percorsi. Ma qual è tasso di mutazioni dannose nella specie umana?

Per rispondere a questa domanda Eyre-Walker e Keighteley hanno analizzato solo regioni di Dna codificanti. In particolare hanno misurato le modificazioni aminoacidiche (gli aminoacidi sono le unità di cui sono costituite le molecole proteiche) di 46 proteine della linea ancestrale umana, a partire dalla sua divergenza dagli altri primati, avvenuta sei milioni di anni fa. Ebbene, i ricercatori hanno riscontrato un tasso totale di mutazione pari a 4,2 modificazioni per persona per ogni generazione. A partire da questo valore, attraverso calcoli matematici, gli autori della ricerca hanno dedotto il tasso di mutazioni dannose, che sarebbe pari al 38 per cento delle mutazioni totali. Il che, tradotto in valori assoluti, significa esattamente 1,6 mutazioni dannose per individuo per ogni generazione. Un numero davvero alto: e, come se non bastasse, come dicono gli stessi autori dello studio, probabilmente sottostimato.

E allora, ci si chiede, perché siamo ancora qui? Come mai, nonostante l’enormità delle mutazioni “cattive” che si sono accumulate nel corso delle generazioni, l’Homo sapiens non si è ancora estinto?

Una possibile spiegazione a questa curiosa quanto fortunata sopravvivenza è che la selezione naturale eradichi nel corso della storia i cambiamenti dannosi, eliminando di preferenza gli individui portatori di molte mutazioni. Ma i risultati dello studio indicano anche che la selezione naturale contro le mutazioni negative è particolarmente debole nella nostra specie, probabilmente perché rispetto ad altre specie animali, solo una porzione relativamente piccola di individui Homo sapiens si riproduce, e quindi trasmette i propri geni alla generazione successiva.

Gli autori allora ipotizzano che un grande numero di mutazioni lievemente dannose si siano stabilizzate all’interno della popolazione attraverso un fenomeno noto come “deriva genetica”, cioè quella fluttuazione casuale della frequenza dei geni nel passaggio da una generazione all’altra che si verifica nelle popolazioni poco numerose. Ma se queste mutazioni si stanno accumulando, col tempo potrebbero avere conseguenze dannose per il benessere del genere umano. Quando? Non appena la selezione naturale allenta la sua morsa, come avviene quando gli standard di vita sono molto alti e, paradossalmente, quando la cura e l’attenzione nei confronti della salute migliorano. O quando il progresso delle tecnologie biomediche permette la procreazione anche agli individui che in passato non avrebbero potuto avere figli. In quest’ottica, come scrive James Crow, genetista dell’Università del Wisconsin in un articolo di commento allo studio di Eyre-Walker e Keighteley, le nostre frequenti emicranie, le difficoltà digestive, la vista che nei secoli è andata lentamente peggiorando potrebbero essere l’effetto dell’accumulo delle mutazioni negative nella storia.

Ma Crow fornisce un’altra possibile spiegazione alla nostra attuale presenza sul pianeta. Ad averci salvato dall’estinzione, sostiene, potrebbe essere stato il sesso. La ricombinazione dei geni che avviene durante la riproduzione sessuata fa sì che ad ogni generazione i caratteri, e quindi anche le mutazioni, vengano mescolate. L’esistenza di un alto tasso di mutazioni dannose rafforza, secondo il genetista statunitense, la teoria della convenienza di riprodursi per via sessuata. Come dire: se siamo vivi, è grazie al sesso.

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