Macchine free-energy

Keith TuttThe Scientist, the Madman, the Thief and their Lightbulb Pocket Book, 2003 pp.368, euro 9,24 È possibile costruire macchine che danno elettricità senza bisogno di pagare nessun ente pubblico o privato? Che stanno comodamente nel ripostiglio di casa e che non producono inquinamento atmosferico o rifiuti dannosi? Che magari possono anche sopperire ai bisogni energetici delle industrie, dell’agricoltura o per l’illuminazione delle strade? Difficile dire se sarà mai possibile, ma certo è che in passato le macchine free-energy, cioè capaci di produrre energia senza consumarne (o almeno senza consumarne altrettanta) sono state il sogno proibito di molti inventori. Pubblicato per la prima volta nel 2001 con il titolo “The search for free energy” e ora rielaborato in questa nuova edizione aggiornata, questo libro narra la loro storia. La scienza ‘ufficiale’ ha sempre lasciato ben poche speranze agli inventori di questo genere di macchine, perché una meccanismo che produce più energia di quanto consuma contraddice apertamente il principio fisico della conservazione dell’energia. Eppure nel sottobosco della scienza ‘fai-da-te’, degli inventori o dei ciarlatani, il rifiuto della legge scientifica non è necessariamente un reato. Anzi, sfidare la scienza ufficiale diventa quasi un motivo in più per tentare l’impresa. Ne sa qualcosa lo scienziato croato Nikola Tesla, noto ai più come colui che contese a Guglielmo Marconi il primo brevetto per il telegrafo senza fili. Meno noto è che Tesla pensava in realtà di sfruttare la sua macchina elettrica per catturare l’energia cosmica, piuttosto che per telecomunicazioni. Nel 1930 gli studi sui raggi cosmici sono appena agli inizi. Tesla prova a catturarli per farne una fonte energetica e fa domanda all’ufficio brevetti degli Stati Uniti per la sua invenzione, che tuttavia si rivela un fallimento. Dopo di lui, magnetismo ed elettricità continuano a essere alla base di marchingegni che suscitano grandi aspettative. Fin dall’Ottocento, lo scienziato inglese Michael Faraday aveva progettato un generatore in cui il magnetismo indotto da correnti elettriche provoca il movimento di un disco metallico a cui è attaccata una dinamo che ‘ricarica’ il generatore stesso. Che una tale macchina possa produrre più di quanto consuma fu per anni la convinzione di Bruce De Palma, fratello del famoso regista Brian. Negli anni Ottanta, De Palma costruisce la macchina N, la brevetta e contatta un’azienda per finanziare la sua produzione. Ma nel 1998, quando De Palma muore, la sua invenzione non è ancora sul mercato. Lo svizzero Paul Baumann probabilmente non riceverà mai un premio Nobel, ma la sua Thesta-Distatica è ancora considerata da molti un miracolo della tecnologia. Costruita alla fine del 1950, la macchina sfrutta l’energia elettrostatica per produrre elettricità. Baumann ha sempre sostenuto che la macchina ne produce di quanta ne consuma e (non curante delle critiche dei detrattori) la usa per soddisfare il fabbisogno energetico del suo piccolo paese nelle Alpi svizzere. Se elettricità e magnetismo sono stati sinonimi di energia a costo zero, non c’è settore di ricerca che abbia suscitato più aspettative della fisica nucleare e in particolare degli studi sulla ‘fusione fredda’. Tutt descrive decine di brevetti basati sulla possibilità di produrre energia attraverso la fusione di atomi leggeri (idrogeno e i suoi isotopi) attraverso l’uso di catalizzatori (platino e palladio) senza ricorrere alle alte energie (e agli altrettanto alti costi) dei reattori al plasma. Nel 1989, gli scienziati statunitensi Martin Fleishmann e Stanley Pons persero la loro credibilità scientifica dichiarando di aver fuso atomi di idrogeno. La comunità scientifica da allora in poi li ha derisi, eppure una scia di inventori li hanno seguiti progettando generatori basati sullo stesso principio. Il libro di Tutt è appassionante sia per gli scienziati che per i semplici curiosi dei fatti scientifici. L’autrice usa abbondantemente le patenti di brevetto come fonte storiografica, un elemento che certo cambierà il modo di fare storia della scienza e della tecnologia nei prossimi anni. Internet permette infatti di accedere ai documenti degli uffici brevetti americani e europei acquisendo così fonti finora rimaste segrete. L’unico aspetto non del tutto convincente del libro è che sembra suggerire che le macchine free-energy nascano nel quadro di una società drogata dall’uso degli idrocarburi, facendone quasi l’unico mezzo per salvare il pianeta dai problemi derivanti dal consumo energetico. In tal senso Tutt sembra dimenticare soluzioni più praticabili e praticate come per esempio le cosiddette energie alternative e soprattutto che, oltre a quelle scientifiche, esistono soluzioni politiche per la limitazione dei livelli di consumo energetico. Le ‘invenzioni’, prima ancora che nei laboratori, dovrebbero essere fatte nei parlamenti locali e internazionali.

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