Malattie autoimmuni del fegato: rare e non riconosciute

(Omar) – Quando si parla di malattie del fegato generalmente si pensa all’epatite virale, alla cirrosi epatica o al tumore e nell’immaginario collettivo queste patologie sono associate a stili di vita errati. Il fegato però può essere colpito anche da malattie differenti, di tipo autoimmune, generate cioè da un comportamento anomalo del sistema immunitario che, per ragioni sconosciute, aggredisce il fegato causando un’infiammazione cronica e progressiva. Le malattie autoimmuni del fegato sono Epatite autoimmune, Colangite biliare primitiva, Colangite sclerosante primitiva e Colangite IgG4-positiva. Sono tutte malattie rare anche se solamente la colangite sclerosante primitiva è attualmente inclusa nella lista delle malattie rare della legge 279/2001. Tra queste la più frequente è la colangite biliare primitiva (CBP): fino a 400 casi su un milione. Si stima che i pazienti CBP in Italia siano circa 13.000. Tutte le altre patologie autoimmuni del fegato si attestano sui 40/60 casi su un milione. Questa malattia colpisce di più le donne, che rappresentano il 90% dei casi.

Di queste patologie si è parlato negli scorsi giorni nel corso di un incontro organizzato a Roma dall’Osservatorio Malattie Rare, con il patrocinio di FIRE onlus – Fondazione Italiana per la Ricerca in Epatologia il cui scopo è quello di raccogliere fondi per sostenere la ricerca in Epatologia e sensibilizzare il pubblico e le istituzioni sui problemi dei malati di fegato e su quanto è necessario fare per la prevenzione e la cura delle epatopatie. L’incontro ha avuto il supporto non condizionato di Intercept, azienda farmaceutica nata da un’eccellenza di ricerca italiana e focalizzata nelle terapie per queste patologie. All’incontro ha partecipato anche Marco Bartoli, responsabile accesso ai nuovi farmaci di EpaC, l’associazione che di recente ha deciso di dedicare alle patologie autoimmuni del fegato un focus specifico.

“Il fegato è un organo centrale in molti funzioni dell’organismo – ha spiegato Mario Strazzabosco, Professore di Gastroenterologia Università degli Studi di Milano Bicocca e Presidente di FIRE – Sintetizza una moltitudine di proteine plasmatiche, dall’albumina, alle lipoproteine, ai fattori della coagulazione, e depura il sangue proveniente dall’intestino con efficiente sistema di protezione verso i patogeni e le tossine che vi arrivano, impedendone la diffusione sistemica. Il fegato è essenziale per le funzioni digestive e per eliminare diverse sostanze di scarto: se non funziona bene gli effetti si riversano su diversi organi e, mano a mano che la funzione epatica si riduce, cominciano i sintomi e le complicanze. La forma più grave di scompenso epatico è una sindrome che colpisce, oltre al fegato, rene, cuore e circolo, il sistema nervoso, il polmone”.

La medicina sta facendo grandi progressi nella diagnosi e nel trattamento di queste patologie: il grande cambiamento che si è verificato negli ultimi anni nella presa in carico dei pazienti con Colangite Biliare Primitiva rappresenta il migliore esempio di queste conquiste.

“Il primo campanello d’allarme della CBP – ha spiegato Annarosa Floreani, Professore Associato del Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche, Università di Padova – può essere un semplice aumento della fosfatasi alcalina tra gli esami di routine. Bisognerebbe sospettare la malattia già quando il valore della fosfatasi alcalina supera di una volta e mezza il valore di riferimento. Di fronte a questo dubbio si può procedere con la ricerca dell’anticorpo antimitocondrio – anche questo si esegue sul sangue in pochi giorni – poiché i pazienti con CBP hanno il 95% di positività per questo anticorpo. Solo il 5% di loro sono negativi per l’anticorpo antimitocondrio, ma è possibile in questi casi ricercare altri marcatori immunologici e avere una risposta certa. Poi ci sono i sintomi: prurito e stanchezza, che possono manifestarsi indipendentemente dallo stadio della patologia”.

“Fino a qualche anno fa la diagnosi che comunicavamo ai pazienti era quella di Cirrosi Biliare Primitiva, per loro era un trauma; infatti la parola cirrosi viene associata dal paziente ad una pessima prognosi e per lo più sottintende un’eziologia alcolica o comportamenti non corretti. Dovevamo spiegare, mettendoci molto tempo, che si trattava di tutt’altra malattia, nella quale la vera e propria cirrosi caratterizzata dal sovvertimento dell’architettura epatica, arriva eventualmente solo nella parte finale della malattia, dopo anche 20 anni. Di questa difficoltà tutta la comunità scientifica internazionale era al corrente, così abbiamo deciso di cambiare la denominazione. Ora parliamo di Colangite Biliare Primitiva (CBP)”.

“Peccato che la nostra burocrazia non si è ancora adeguata – ha precisato Domenico Alvaro, Ordinario di Gastroenterologia, Università Sapienza di Roma, Dir. II Livello UOC Gastroenterologia – Dobbiamo, infatti, spiegare al paziente che il codice d’esenzione 571.6 che gli verrà attribuito riguarda la vecchia, non ancora aggiornata, denominazione di ‘Cirrosi Biliare Primitiva’ e, spiegare i motivi burocratico-amministrativi che fanno ritardare il cambio di denominazione. Senza una giusta informazione, il paziente rimane sconvolto. I pazienti, per effetto dell’inserimento della malattia tra le malattie croniche, hanno l’esenzione dal ticket per gli esami e le visite di controllo ma, sarebbe molto meglio per tutti se venisse riconosciuta anche dal punto di vista burocratico come malattia rara. La comunità scientifica l’ha chiesto più volte in via ufficiale ma non siamo stati ascoltati e la CBP non è stata inserita nemmeno nell’ultima lista di malattia rare che a breve dovrebbe entrare nei nuovi LEA. Fino a pochi anni fa avevamo poche armi per gestire questa malattia, non avrebbe fatto molta differenza essere o meno nella lista. Oggi invece, per questa malattia siamo sulla strada della “Medicina di Precisione”, abbiamo strumenti precisi per monitorare la progressione di malattia e la comunità scientifica italiana è riconosciuta a livello internazionale per i risultati ottenuti dallo studio di questa malattia. Questa esclusione dall’elenco delle malattie rare non fa risparmiare il SSN e a perderci sono solo i pazienti”.

Grandi passi avanti sono stati fatti e si stanno ancora facendo nel trattamento di questa malattia.

“Un tempo – ha spiegato infatti Alvaro – nella maggior parte dei casi vedevamo questi pazienti quando avevano già una malattia in fase di cirrosi o addirittura per le complicanze della cirrosi (ascite, emorragia digestiva ecc.). Oggi, sempre più frequentemente, la diagnosi viene posta in fase precoce, quando la malattia è silente o asintomatica, soprattutto nelle grandi città dove ci sono centri di eccellenza. Quindi, è cambiato anche il modo di approcciarsi al paziente. Se prima la prognosi era del tutto simile a quella della cirrosi epatica oggi, invece, possiamo spiegare al paziente che se svilupperà la malattia sarà tra 10 o 20 anni e che ci sono diverse possibilità di tenerla sotto controllo”.

“Oggi il trattamento di prima linea è con l’acido ursodesossicolico: il 60-70% dei pazienti risponde positivamente mentre il 30-40% dei casi non ha una risposta soddisfacente. Per questi pazienti ‘non responder’ si sta valutando l’utilizzo di farmaci di seconda linea soprattutto l’acido obeticolico che a breve riceverà l’approvazione dell’EMA. L’acido obeticolico è stato utilizzato in diversi studi controllati di fase II e di fase III ai quali hanno partecipato ricercatori di tutto il mondo, compresi noi italiani. I risultati più importanti sono stati pubblicati recentemente sul New England Journal of Medicine una delle riviste mediche più prestigiose del mondo. Il parametro da tutti utilizzato per valutare l’efficacia della terapia è la riduzione della fosfatasi alcalina al di sotto di 1,67 volte il valore normale, valore al di sopra del quale l’aspettativa di vita è ridotta” ha concluso la professoressa Annarosa Floreani, che figura tra gli autori di questa prestigiosa pubblicazione.

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