Malattie autoimmuni: perché colpiscono di più le donne?

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(Foto: Kateryna Hliznitsova su Unsplash)

Non solo il diverso assetto ormonale rispetto ai maschi: a contribuire alla predisposizione delle femmine della nostra specie a sviluppare malattie autoimmuni – come il lupus o la sclerosi multipla – sarebbe la presenza stessa di due cromosomi X in (quasi) ogni cellula. Secondo uno studio coordinato dalla Stanford Medicine e pubblicato sulla rivista Cell, infatti, il meccanismo vitale con cui uno dei due X viene spento genera anche autoanticorpi che indirizzano il sistema immunitario ad attaccare tessuti sani.


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L’inattivazione dell’X

A parte alcune eccezioni, le femmine di mammifero, essere umano compreso, possiedono una coppia di cromosomi X, uno ereditato dalla madre e uno dal padre nel momento del concepimento. Il cromosoma X è grande e contiene molti geni indispensabili alla vita, tant’è che anche gli individui di sesso maschile ne hanno (almeno) uno. Due copie di X, però, sono troppe. Per evitare la sovrapproduzione di proteine, che sarebbe letale, la natura ha sviluppato un modo per silenziare in modo casuale uno dei due cromosomi X in ogni cellula femminile, così da avere più o meno la stessa quantità di informazioni genetiche presente in una cellula maschile.

Proprio questo vitale processo, chiamato inattivazione dell’X, potrebbe avere un effetto collaterale negativo, contribuendo ad aumentare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni.

Un lungo rna

Principale responsabile dell’inattivazione dell’X è Xist, un gene che si trova proprio sul cromosoma X. Xist non codifica per una proteina, ma solo quando è presente un altro X viene copiato in una lunga molecola di rna che va a legarsi al cromosoma X da silenziare.

Il problema, spiegano i ricercatori di Stanford, è che Xist crea complessi di dna e altre proteine che, quando le cellule muoiono, vengono rilasciati nel sangue e vengono riconosciuti dal sistema immunitario che può produrre degli anticorpi specifici (autoanticorpi) e scatenare l’autoimmunità. L’ipotesi degli scienziati trova conferma negli esperimenti sui topi: forzando l’attivazione di Xist anche in animali maschi (con un solo cromosoma X, quindi), questi diventano più suscettibili alle malattie autoimmuni tanto quanto le femmine.

I ricercatori, infine, hanno anche analizzato i sieri di circa 100 pazienti con autoimmunità dimostrando la presenza di autoanticorpi contro molti dei complessi associati a Xist. Alcuni di questi autoanticorpi erano specifici per alcune malattie autoimmuni, cosa che li renderebbe possibili marcatori di autoimmunità da sfruttare per diagnosticare malattie autoimmuni prima che si sviluppino i sintomi.

Una risposta a metà

Gli stessi esperimenti, tuttavia, hanno fatto emergere anche altre informazioni fondamentali: i complessi Xist+dna+proteine non sono sufficienti perché gli animali, maschi o femmine che siano, sviluppino malattie autoimmuni, ma devono esserci anche una certa predisposizione genetica e uno stress scatenante.

Via: Wired.it

Credits immagine: Kateryna Hliznitsova su Unsplash