I mammiferi stanno diventando notturni. E la colpa è nostra

Quanti sono i luoghi del nostro pianeta dove noi esseri umani non abbiamo ancora imposto la nostra presenza? Davvero pochi e a pagarne le conseguenze, ovviamente, sono i nostri coinquilini. I mammiferi, per esempio, per paura di incontrarci avrebbero scelto di essere più attivi durante la notte. A scoprirlo è stato un team di ricercatori della University of California-Berkeley, che ha raccontato sulle pagine di Science come appunto con il passare del tempo le attività umane avrebbero indotto gli animali selvatici a modificare le loro abitudini di vita per evitare il contatto con gli esseri umani. Cambiamenti questi, che potrebbero avere effetti negativi sulla loro forma fisica, la fitness (ovvero il successo riproduttivo), la predazione e influenzare, di conseguenza, le catene alimentari.

Per capirlo, l’autore dello studio Kaitlyn Gaynor e il suo team hanno passato in rassegna 76 studi su 62 specie provenienti da sei  continenti, che avevano monitorato le attività degli animali utilizzando strumenti come Gps e speciali telecamere che vengono attivate dai movimenti. Utilizzando i dati di queste ricerche, gli scienziati hanno potuto così confrontare i comportamenti e le abitudini degli animali durante i periodi in cui l’attività umana, come per esempio la caccia, l’escursionismo e l’agricoltura, era più o meno di disturbo per gli animali selvatici.

Dal confronto è emerso che, nel complesso, quando le attività umane erano più intense causavano un significativo aumento delle attività notturne dei mammiferi, che in totale aumentano mediamente del 20%. Questo cambiamento, sottolineano i ricercatori, potrebbe spingere gli animali ad assumere sempre di più uno stile di vita notturno, a scapito tuttavia di una minor salute. “I disturbi dovuti alla presenza umana, a lungo termine, possono comportare una minore fitness, minore sopravvivenza giovanile e tassi di riproduzione più bassi, con conseguenze negative a livello della popolazione”, ha commentato in una nota Ana Benítez-López, ricercatrice dell’Università di Radbound Nijmegenm, in Olanda.

Riferimenti: Science

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