Mercurio, uno dei pianeti meno esplorati del Sistema Solare, è stato “paparazzato” dalle telecamere di BepiColombo, la missione congiunta di Esa (Agenzia Spaziale Europea) e Jaxa (Japan Aerospace Exploration Agency), dedicata allo studio del pianeta roccioso più interno del Sistema Solare. Lo scorso 19 giugno, BepiColombo ha infatti effettuato il suo terzo flyby sul pianeta, regalandoci meravigliose immagini e raccogliendo nuove intriganti informazioni sulla “storia evolutiva” del pianeta.
Verso Mercurio, la missione BepiColombo in rampa di lancio
Il veicolo, costituito da due sonde, il Mercury Planetary Orbiter e il Mercury Magnetospheric Orbiter, è stato lanciato nell’autunno del 2018 ed è al momento in orbita attorno al Sole. L’obiettivo è quello di portare BepiColombo nell’orbita di Mercurio entro la fine del 2025. Per farlo, i responsabili della missione utilizzeranno quelli che vengono definiti “archi di propulsione elettrica solare”, una tecnologia basata sulla combinazione di celle solari e propulsori elettrici che serve a massimizzare la spinta dei veicoli spaziali: “Il nostro prossimo lungo arco di propulsione elettrica solare è previsto per l’inizio di agosto e durerà fino a metà settembre”, spiega Ignacio Clerigo, Spacecraft Operations Manager della missione. “In combinazione con i flyby, gli archi di propulsione sono fondamentali per aiutare BepiColombo a frenare contro l’enorme attrazione gravitazionale del Soleprima di entrare in orbita attorno a Mercurio”. L’obiettivo della missione è appunto quello di ottenere maggiori informazioni riguardo al campo magnetico di Mercurio, al ghiaccio presente in alcuni dei suoi crateri e in generale alle formazioni rocciose presenti sulla sua superficie.
Nel momento di massimo avvicinamento, il veicolo è arrivato a circa 236 chilometri dalla superficie di Mercurio. Essendosi però approcciato dal lato del pianeta che si trovava in quel momento in ombra rispetto al Sole, i primi dettagli sono diventati visibili solo diversi minuti dopo. Per questo motivo le immagini pubblicate sul sito dell’Esa sono state scattate quando il veicolo si trovava a circa 3500 chilometri dalla superficie del pianeta. Nelle foto si può osservare ad esempio un enorme cratere del diametro di circa 218 chilometri, a cui è stato assegnato il nome Manley in onore dell’artista giamaicana Edna Manley, morta nel 1987. Secondo David Rothery, professore presso la Open University del Regno Unito e membro del team di imaging della missione, questa immagine fornisce interessanti spunti sul passato del pianeta, come il fatto che “il pavimento del bacino all’interno [del cratere, nda] è stato inondato da lava liscia, a dimostrazione della prolungata storia di attività vulcanica di Mercurio”. L’esatta natura di questo materiale di origine vulcanica, si legge ancora nella news dell’Esa, verrà studiata ulteriormente una volta che BepiColombo sarà entrato nell’orbita del pianeta. Un’altra formazione di interesse e visibile nelle immagini appena scattate è la cosiddetta scarpata di “Beagle Rupes”: lunga circa 600 chilometri, era stata osservata per la prima volta durante la missione Messenger della Nasa, ed è probabilmente il risultato del raffreddamento e della contrazione a cui il pianeta è andato incontro durante la sua “storia evolutiva”. “Questa è una regione incredibile per studiare la storia tettonica di Mercurio”, conclude Valentina Galluzzi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). “La complessa interazione tra queste scarpate ci mostra che il raffreddamento e la contrazione del pianeta hanno provocato lo scivolamento della crosta superficiale, creando una serie di curiose caratteristiche che seguiremo più in dettaglio una volta in orbita”.
Via Wired.it
Crediti immagini: ESA/BEPICOLOMBO/MTM, licenza CC BY-SA 3.0 IGO
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