Metti in banca la fertilità

Ritardare la maternità fino a quando non si è fisicamente, finanziariamente, professionalmente o anche sentimentalmente pronte. È un’esigenza sentita da un numero sempre crescente di donne e realizzarla è oggi possibile grazie a nuove tecniche di conservazione della fertilità. Il messaggio emerge chiaro da alcuni studi presentati alla conferenza annuale della European Society of Human Reproduction Embriology (Eshre) appena conclusasi a Roma.

Ne riportiamo alcuni, tra i più significativi. Tanto per cominciare, sembra che gli ovociti vitrificati abbiano raggiunto la stessa probabilità di successo nell’indurre una gravidanza degli ovociti freschi. almeno secondo i dati dell’unità di criobiologia dell’Institut Universitari – IVI Valencia, in Spagna. Il processo di vitrificazione è una modalità di conservazione degli ovociti che permette di congelarli rapidamente, mantenendo la stessa qualità di quelli freschi e aumentando la loro probabilità di sopravvivenza. Probabilità che con le pratiche finora adoperate – un lento congelamento e un altrettanto lungo scongelamento – si fermavano al due per cento.

Lo studio spagnolo ha coinvolto 600 riceventi di ovociti appena prelevati o vetrificati. L’analisi dei risultati ha evidenziato una percentuale di successo della gravidanza molto simile tra i due gruppi, addirittura maggiore nel secondo: 41,7 e 43,7 per cento. “Grazie a questo sistema molte pazienti oncologiche potranno preservare la propria fertilità prima di sottoporsi a un trattamento che le potrebbe rendere sterili, lo stesso vale per pazienti a rischio di iperstimolazione ovarica, perché si riduce  il numero di stimolazioni cui devono sottoporsi”, ha dichiarato la direttrice dell’Ivi Ana Cobo. Inoltre, come sottolineato dalla ricercatrice, l’egg banking attraverso vitrificazione degli ovociti rappresenta un processo di donazione più sicuro rispetto alla donazione di ovuli freschi, perché consente di mettere in quarantena gli ovociti fino a che non viene confermata l’assenza di eventuali malattie contagiose a carico della donatrice.

Quella di crioconservare gli ovociti, però, non sembra più essere esigenza esclusiva di pazienti oncologiche e a rischio di infertilità precoce. Secondo uno studio britannico presentato alla conferenza, le giovani donne, vedono questa opportunità come un modo di conciliare maternità e successo professionale. La dottoressa Srilatha Gorghi del centro di medicina riproduttiva di Leeds ha intervistato un gruppo di studentesse universitarie, 98 di medicina e chirurgia e 97 di scienze motorie e pedagogia, dell’età media di 21 anni (tutte comunque tra i 18 e i 30 anni). Dopo aver raccolto le informazioni riguardanti il congelamento degli ovociti, l’85 per cento delle studentesse di medicina e il 50 per cento delle altre ha dichiarato di essere più che favorevole a ritardare la maternità. Le prime, inoltre, erano più che disposte a sottoporsi fino a tre cicli di prelievi per depositare in banca un numero di ovuli sufficienti per avere un realistica probabilità di gravidanza. Tra le motivazioni per ritardare il momento di creare una famiglia, le più frequenti sono la stabilità finanziaria e sentimentale. Nel gruppo delle studentesse di medicina, però, al primo posto c’erano considerazioni di carattere professionale: prima la carriera poi la maternità. Tra gli aspetti sfavorevoli segnalati da tutte le partecipanti spiccano le tremila sterline (quasi 4.300 euro) per ogni tentativo di congelamento.

Uno studio simile, condotto da Julie Nekkebroek del centro di Medicina Riproduttiva UZ di Bruxelles, ha mostrato che un altro buon motivo per scegliere di congelare i propri ovociti è l’assenza di un partner giusto con cui avere figli. Secondo la donne intervistate dalla ricercatrice, infatti, in questo modo, oltre ad “assicurarsi” contro una futura infertilità, si riduce la pressione della ricerca dell’uomo giusto e si concede a una relazione più tempo prima di pensare a un figlio.

Di preservazione della fertilità al congresso dell’Eshre si è parlato non solo riguardo al tempo che passa, ma anche a proposito di altre patologie che riducono le possibilità di una donna di avere bambini. Una delle principali è il fibroma uterino. Questa patologia, che colpisce 24 milioni di donne in Europa, interferisce con la capacità dell’embrione di impiantarsi nell’utero, portando di fatto all’infertilità. Inoltre è una delle prima indicazioni per l’isterectomia. Una speranza arriva però dal programma di endocrinologia riproduttiva dei Nih a Bethesda, negli Usa, condotto da Alicia Armstrong. La ricercatrice ha illustrato al meeting uno studio che ha testato l’efficacia dell’acetato di uliprosal (upa) nella riduzione del volume dei fibromi. L’Upa è un farmaco adoperato al momento nella contraccezione di emergenza, che agisce bloccando il recettore dell’ormone progesterone. Questo stesso ormone sembra coinvolto anche nella formazione dei fibromi uterini. Nella sperimentazione sono state coinvolte 57 donne tra i 25 e i 50 anni affette da questa patologia. Tra le partecipanti allo studio, 18 hanno ricevuto un placebo, 20 hanno assunto 10 microgrammi di upa al giorno per sei mesi, mentre a 19 ne sono stati somministrati 20 microgrammi. Le pazienti che hanno ricevuto l’upa hanno riportato una notevole riduzione del fibroma, soprattutto quelle che hanno assunto la dose maggiore. 

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