Come nasce il nostro senso dell’orientamento, ovvero la capacità di progettare il percorso migliore per raggiungere una destinazione? Secondo uno studio pubblicato su Science, la risposta andrebbe cercata nelle interazioni tra due precise zone del cervello: l’ippocampo e la corteccia prefrontale.
Per raccogliere dati sul funzionamento di queste due aree cerebrali, Thackery Brown e i suoi colleghi di Stanford hanno esposto i partecipanti ad un ambiente virtuale, nel quale dovevano orientarsi per raggiungere 5 diverse destinazioni poste su un percorso circolare. Durante il primo giorno, venivano fatti muovere nell’ambiente per acquisire familiarità con le destinazioni, ognuna indicata da un’immagine ben definita. Il giorno successivo, i partecipanti, partendo da una delle tappe, dovevano trovare il percorso più corto per raggiungere le altre destinazioni, mentre allo stesso tempo gli scienziati registravano la loro attività cerebrale con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) ad alta risoluzione. Durante questa fase dell’esperimento, inoltre, le immagini che rappresentavano le diverse tappe non erano visibili, e i partecipanti dovevano affidarsi completamente alla memoria per ritrovare i luoghi.
Dopo aver analizzato i dati ottenuti, i ricercatori si sono accorti che un specifica parte della corteccia, quella orbitofrontale, a svolgere un ruolo chiave tramite la sua interazione con l’ippocampo durante l’orientamento basato sulla memoria: è questa parte del cervello che infatti individua la tappa successiva “ideale” del percorso necessario a raggiungere un determinato luogo.
Successivamente, la corteccia frontopolare, o Area 10 di Brodmann (sempre parte della corteccia prefrontale), codifica questa informazione nell’ippocampo. Infine tre altre regioni del cervello, la corteccia paraippocampale, la corteccia peririnale e la corteccia retrospleniale, aiutano il cervello a “visualizzare” il contesto spaziale per orientarsi.
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