I telomeri, le estremità dei cromosomi, sono una sorta di orologio biologico: si accorciano a ogni divisione cellulare. La loro lunghezza è, quindi, una misura dell’invecchiamento della cellula. E se fosse anche un indicatore biologico della lunghezza della vita?
Una ricerca pubblicata su The Lancet potrebbe aiutare a rispondere a questo interrogativo. Secondo lo studio inglese, svolto dalla University of Leicester, gli uomini con telomeri più corti potrebbero avere un rischio maggiore di sviluppare malattie coronariche. In più, sarebbero proprio questi soggetti a trarre maggior beneficio da un trattamento con statine.
Precedenti ricerche avevano mostrato che le persone che sviluppano patologie delle coronarie hanno telomeri più corti, ma finora non era chiaro quale fosse delle due condizioni a determinare l’altra. La scoperta potrebbe rappresentare una chiave per capire perché alcune persone, a parità di fattori di rischio, sviluppano la malattia e altre no.
La ricerca si è basata sui dati dei partecipanti al West of Scotland Primary Prevention Study (Woscops). I ricercatori hanno comparato la lunghezza dei telomeri dei globuli bianchi di 484 maschi di mezza età che hanno sviluppato malattie cardiache, con la lunghezza dei telomeri di 1058 soggetti sani, esposti agli stessi fattori di rischio. Scoprendo che i primi avevano telomeri più corti dei secondi. Inoltre, nello studio Woscops alcuni pazienti avevano ricevuto in modo random un trattamento con statine e altri il placebo. I ricercatori hanno osservato che i pazienti trattati con placebo presentavano un rischio doppio di malattia coronarica rispetto ai soggetti con telomeri relativamente più lunghi, trattati farmacologicamente.
Gli autori sostengono che la lunghezza dei telomeri non sia una conseguenza della malattia, ma che potrebbero giocare un importante ruolo nello sviluppo della malattia. Per ciò che riguarda l’azione delle statine invece, una ipotesi è particolarmente interessante: ossia che proprio i farmaci, oltre a diminuire i livelli di colesterolo nel sangue, sarebbero capaci di rallentare l’accorciamento delle estremità dei cromosomi. (j.r.m.)