“Tredici spedizioni effettuate e una quattordicesima in preparazione, una base permanente, oltre duemila persone, di cui più della metà studiosi, coinvolte nell’impresa, un investimento attorno ai 500 miliardi di lire che ha prodotto l’8,65% di tutta la letteratura scientifica mondiale sul Continente Bianco”. E’ con evidente soddisfazione che Luigi Berlinguer, ministro dell’Università e della Ricerca scientifica, snocciola le cifre che riassumono i tredici anni di attività italiana in Antartide. Già, perché ogni anno a partire dal 1985, proprio quando da noi comincia l’inverno ma all’estremo sud del mondo si fanno invece sentire i primi “tepori” di un’estate che durerà sei mesi, parte una nave carica di rifornimenti, strumenti scientifici, materiali di supporto e uomini da trasportare fino a Baia Terra Nova. E ogni anno, all’arrivo dell’”Italica”, la base italiana riapre i battenti, dopo essere rimasta sei mesi deserta e imprigionata nell’inverno polare.
Nei giorni scorsi la numerosa comunità di ricercatori coinvolti nelle ricerche antartiche si è data appuntamento a Roma per la Conferenza nazionale sull’Antartide. Per fare un bilancio delle attività svolte, ma soprattutto per discutere i programmi futuri. Ma a cosa serve una base scientifica sperduta in un luogo così lontano dall’Italia, in cui le condizioni climatiche estreme impongono sforzi tecnici e logistici piuttosto notevoli? A parte le ragioni scientifiche, vi è prima di tutto un motivo politico. Nel dicembre del 1959 i dodici paesi che fino ad allora avevano svolto attività in Antartide sottoscrissero il Trattato Antartico per la salvaguardia di quel territorio “nell’interesse dell’intera umanità”. L’Italia vi aderì nel 1981, ma solo dopo la costruzione della base di baia Terra Nova e l’avvio di un programma di ricerca, il nostro paese è stato promosso a Membro consultivo, con diritto di voto su tutte le questioni riguardanti il trattato.
Ma il motivo principale è che l’Antartide è un luogo chiave per l’equilibrio dell’intero pianeta. A parte il fatto che nei suoi ghiacciai è ibernato il 90% dell’acqua dolce di superficie di tutta la Terra (se questi si sciogliessero, gli oceani salirebbero di 65 metri), il Continente Bianco è un’immensa cassaforte di informazioni per lo studio dei meccanismi del clima, della circolazione atmosferica e oceanica, degli scambi energetici tra il Sole e la Terra e anche dei processi evolutivi e di adattamento di un gran numero di esseri viventi. Un esempio? Proprio mentre si fa sempre più urgente l’esigenza di capire come e in che misura le attività umane stiano modificando il clima della Terra, diviene fondamentale capire quale era il clima del passato. E appunto in Antartide, a Vostok, è stata prelevata una “carota” di ghiaccio profonda 3500 metri in cui è registrata la storia climatica degli ultimi 450 mila anni.
Nelle regioni polari, dove la temperatura non sale mai sopra 0° C, la neve non si scioglie mai. Nel corso dei secoli viene compressa dalla neve nuova che si trasforma in ghiaccio, ma non perde i caratteri acquisiti nella massa d’aria in cui si è formata. Inoltre all’interno del ghiaccio rimangono incastonate innumerevoli “bollicine” di aria da cui si può ricavare la composizione dell’atmosfera del passato. L’archivio di ghiaccio ha così rivelato, per esempio, che l’anidride carbonica e il metano sono aumentati del 30% e del 140% rispettivamente negli ultimi tre secoli (ma l’aumento si concentra quasi del tutto in questo secolo) e mai nel passato questi gas avevano raggiunto livelli tanto elevati.
Insomma, gestire una base scientifica in Antartide significa partecipare da protagonisti alle attività in uno dei più vasti laboratori naturali del pianeta. Così, nei i prossimi anni, le basi italiane diverranno addirittura due. La base-madre di baia Terra Nova funziona infatti ormai a pieno regime, ma italiani e francesi inizieranno la costruzione di Base Concordia a Dome C. E questa volta la sfida è ancor più ambiziosa perché, al contrario di baia Terra Nova che è sul mare, per raggiungere Dome C bisogna superare 1200 chilometri di deserto bianco, arrampicarsi a circa 3500 metri di altitudine, fino a una landa perennemente immersa in una morsa da -50° C…Ma chi ha detto la vita del ricercatore scorre sempre in camice in qualche polveroso laboratorio?