Nell’Atlantico un batterio da record

I batteri, campioni di sopravvivenza: dalle fosse oceaniche, con pressioni di centinaia di atmosfere, alle sorgenti sulfuree dove le temperature sono prossime ai cento gradi centigradi, questi microrganismi sono stati i primi colonizzatori del pianeta Terra, adattandosi alle condizioni più estreme e riuscendo a trarre l’energia necessaria alla vita dai composti chimici più svariati.

Ma la specie scoperta recentemente da un gruppo di ricercatori tedeschi e statunitensi ha davvero polverizzato tutti i record: il “Pyrolobus fumarii” vive infatti in prossimità della dorsale atlantica a 3600 metri di profondità, dove l’acqua raggiunge i 113 °C, e dove la fortissima pressione ne impedisce l’ebollizione.

Il “Pyrolobus fumarii” è un archeobatterio, un organismo unicellulare le cui caratteristiche particolari gli consentono di vivere in condizioni estreme. Gli archeobatteri si differenziano dai comuni batteri per la struttura della parete cellulare che costituisce il loro rivestimento esterno, e per la presenza di alcuni meccanismi metabolici grazie ai quali sono in grado di ricavare energia da sostanze chimiche molto elementari. L’origine evolutiva degli archeobatteri sembra essere piuttosto distante da quella dei batteri comuni, e tuttavia “la possibilità di vivere in condizioni estreme non richiede necessariamente un tipo di vita molto specializzato”, commenta Holger Jannasch, dell’Istituto Oceanografico del Massachusetts, uno dei cacciatori di batteri che ha contribuito alla scoperta.

E infatti il Pyrolobus fumarii è un organismo molto versatile: vive su un substrato di idrogeno – che alle pressioni delle profondità oceaniche si trova allo stato liquido – per crescere non ha bisogno di sostanze organiche, può vivere in presenza di ossigeno ma può anche farne a meno, e si nutre di composti azotati oppure di solfati. La sua scoperta rafforza l’ipotesi secondo cui anche sostanze chimiche molto semplici possono supportare l’esistenza di forme di vita, seppure molto primitive.

Ma nell’annuncio della scoperta c’è anche un altro motivo di interesse, legato a un argomento particolarmente attuale in questo periodo. “Infatti”, spiega Jannasch, “ogni volta che si scopre un microrganismo che, come il “Pyrolobus fumarii”, è in grado di colonizzare un ambiente così estremo ci sembra che aumenti la possibilità di scoprire forme di vita con caratteristiche analoghe su altri pianeti”.

Non è la prima volta negli ultimi mesi che un rappresentante degli archeobatteri fa parlare di sé. Nell’agosto scorso il sequenziamento del Dna di un microrganismo chiamato “Methanococcus jannaschii” (anche questo scoperto da Holger Jannasch nell’Oceano Pacifico e analogo a quello identificato recentemente nelle profondità dell’Atlantico) metteva in risalto le differenze esistenti fra questa “terza forma di vita”, come è stata chiamata dalla rivista inglese “Nature”, i batteri comuni e gli organismi composti da cellule eucariote, cioè dotate di nucleo. Inoltre il Dipartimento dell’Energia statunitense ha da poco varato un programma di ricerca finalizzato allo studio dei batteri che vivono nella crosta terrestre, fra i 50 ed i 500 metri di profondità.

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