Messico, nell’inferno delle Maquilas

“Maquilas” in messicano significa fabbriche. Ce ne sono circa 400 a Ciudad Juarez, città nel nord del Messico, in mezzo al deserto e al confine con El Paso, in Texas. In questa città di frontiera, le grandi multinazionali statunitensi hanno stabilito i propri impianti attirando molti contadini dal Sud del paese con le lusinghe di una vita migliore. Il “sogno americano” importato in casa, però, ha portato solo povertà, degrado ambientale e violenza. Sembra una discesa all’inferno il documentario “Maquilas” firmato da Isabella Sandri e Giuseppe Gaudino, co-prodotto da Fandango e Legambiente e presentato ieri a Roma presso il Cinema Politecnico Fandango. Il lavoro, già andato in onda su Rai Tre in forma ridotta a dicembre e vincitore del Premio Cipputi al Torino Film Festival 2004, sarà presentato al prossimo Social Forum Mondiale che si terrà a Porto Alegre dal 26 al 31 gennaio.

Il caso emblematico di intreccio tra problemi ambientali e diritto e tutela del lavoratori viene raccontato attraverso la voce dei protagonisti, le riprese dei paesaggi e del lavoro in alcune fabbriche. “Il capitale è intelligente e va dove deve andare”, dice un responsabile dell’Associazione delle Maquiladores di Ciudad Juarez intervistato durante le riprese. Gli stabilimenti stranieri, le maquilas appunto, sorgono in 18 parchi industriali, le cosiddette “Export Processing Zones”, zone franche che godono di una quasi totale esenzione fiscale e di carta bianca per quanto riguarda le normative ambientali e del lavoro. Qui le industrie non pagano tasse di importazione o esportazione, né sanzioni per lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici nel deserto o nei fiumi, e sfruttano la manodopera non qualificata locale pagando salari minimi tra 50 e 60 dollari a settimana. Il tutto con la connivenza e la protezione delle autorità e della polizia locale.

“E’ stato difficile riuscire a filmare”, spiega la regista Isabella Sandri, “Se si sceglie la via istituzionale è quasi impossibile, per questo noi ci siamo recati direttamente nelle fabbriche cercando di convincere i responsabili a farci riprendere”. Solo tre maquilas, però, hanno accettato la presenza delle telecamere, e molte delle scene del documentario sono girate all’insaputa dei dirigenti d’azienda. “Non ci permettevano di filmare neanche sugli autobus che vanno a prendere gli operai”, continua Giuseppe Gaudino, “Ci siamo riusciti perché molti autisti fanno parte del gruppo di solidarietà Zorros del Desierto”.

A Ciudad Juarez gli operai lavorano in piedi per 12 ore di fila, senza poter andare al bagno, sono costretti a cambiare turno in continuazione, vengono licenziati sé si organizzano in sindacati e le donne devono dimostrare ogni mese di non essere rimaste incinta. I rifiuti tossici delle industrie, inoltre, vengono gettati per strada e nei fiumi, senza nessuna preoccupazione per la salute degli abitanti. Sono stati molti i casi di mortalità infantile e di bambini nati con gravi malformazioni nelle aree vicine alle maquilas più inquinanti.

Ma è molta anche l’impunità. Come quella per le tante donne uccise e scomparse dal 1993, più di 300, soprattutto operaie, in quello che sembra un intreccio tra fabbrica e violenza: per molte donne, infatti, il lavoro rappresenta una forma di emancipazione ma spesso la loro autonomia non è tollerata in famiglia ed esplode la violenza. Inoltre non esistono tutele per le operaie e le attiviste locali parlano di legami tra i gestori delle maquilas e i criminali.

In questa spirale di degrado e miseria non manca la speranza. Come quella di Adriana, volontaria del “Centro de Investigacion y Solidaridad Obrera”, che sensibilizza gli operai e gli abitanti sui rischi per la salute legati alla presenza delle fabbriche e di Felix dell’associazione “Alianza Ecologista del Rio Bravo” che continua a monitorare i danni subiti dal Rio Bravo e lotta al fianco di 300 famiglie della Colonia Baje Dorado per mandare via la Solvay-Mexico, una maquila che lavora la fluorite. Altri angeli custodi sono gli Zorros del Desierto (Volpi del deserto), un gruppo di radioamatori che protegge gli abitanti del quartiere Anapra con ronde notturne e operazioni di soccorso grazie alla frequenza del Canale 21. Il viaggio dei due registi termina in Chiapas. Proprio da qui, infatti, è iniziato il viaggio della speranza verso Ciudad Juarez per molte generazioni stanche della vita contadina. Ma il “sogno americano” per loro resta ancora al di là del confine.

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