“Non bisogna arrendersi”

Una sfida o una sconfitta. Al di là della tragedia umana, sembrano essere questi i termini in cui si pone la vicenda dello shuttle Columbia. Infatti, passato il momento del lutto, il governo statunitense dovrà scegliere fra due strade: riavviare con rinnovato impulso le imprese spaziali legate alla ricerca scientifica – come quelle degli shuttle – o rinunciare a questo programma e dirottare le sue risorse verso progetti militari come lo scudo spaziale. Un passo in questa seconda direzione era già stato compiuto dall’amministrazione Bush questa estate, con il rifiuto di finanziare con 4,5 milioni di euro il completamento della Stazione spaziale internazionale, cifra invece da destinare a favore delle spese per la difesa. “Una scelta senza dubbio sbagliata”, ha detto a Galileo l’astronauta italiano Umberto Guidoni, che nel 1996 volò proprio sul Columbia. “Ma comunque è ancora troppo presto per dire se gli Stati Uniti proseguiranno per questa strada o piuttosto preferiranno intraprendere l’altra”. Come è troppo presto per affermare con certezza quali possano essere state le cause della distruzione del veicolo spaziale. L’ipotesi più accreditata che prevede il distaccamento di una delle piastrelle protettive al momento della partenza, non si può dare per scontata. Sta circolando, per esempio, anche la notizia di un possibile impatto con un asteroide. “In realtà quello che conosciamo è solo l’effetto finale”, prosegue Guidoni, “e prima di dare per certe quelle che sono solo ipotesi bisognerebbe aspettare di avere a disposizione più dati”.Quel che è certo, invece, è il valore scientifico della missione dei sette astronauti scomparsi. Sul Columbia sono stati condotti circa 80 esperimenti, grazie al laboratorio di bordo, lo “Spacelab”. Sono stati fotografati i fugaci “elfi” (lampi rossi di elettricità nella ionosfera) e i “folletti” (bagliori rossi a forma di ciambella). È stato osservato un inatteso arco di luce introno alla Terra. È stata accesa una fiamma per osservare il comportamento della fuliggine nello spazio, e palle di fuoco per studiare come migliorare l’efficienza dei motori terrestri. Gli astronauti sono stati allo stesso tempo osservatori e osservati – insieme ai loro compagni di viaggio: pesci, insetti e 13 cavie – per studiare la causa delle vertigini che gli anziani o i diabetici provano quando subiscono uno sbalzo di pressione, un esperimento, tra l’altro, condotto sul loro corpo grazie a un’apparecchiatura italiana. E non è tutto. Si è tentato di osservare gli effetti della polvere del Sahara sul clima mediterraneo, ma purtroppo nubi di inquinamento lo hanno impedito. E si è visto cosa succede quando va a fuoco un pezzo della foresta amazzonica in Brasile: si alza una colonna di fumo così alta da bucare l’atmosfera, aprendo un varco al passaggio di pericolosi raggi solari non schermati.L’ultimo volo del Columbia, dunque, si inserisce a buon diritto nella tradizione scientifica degli shuttle. A quanto pare una tradizione sempre meno considerata. Visto che dal 1990 l’investimento per lo space shuttle è diminuito del 40 per cento. “Questo non vuol dire che si è scesi al di sotto della soglia di sicurezza”, precisa Guidoni. Anche l’età del veicolo non deve ingannare. Uscito dal cantiere nel 1979, si programmava che volasse fino al 2020: la manutenzione e l’aggiornamento vengono condotti costantemente. Il punto sono le strategie del lungo periodo. “La scelta giusta da fare è guardare al futuro. Su imprese come lo scudo spaziale c’è addirittura il dubbio che non siano immediatamente fattibili. Al contrario, la ricerca scientifica spaziale è molto promettente. Per esempio, si progetta di sfruttare l’assenza di gravità per far crescere un virus in modo da poter, dopo averlo studiato, fabbricare una struttura cristallina speculare (un antigene) per neutralizzarlo. Insomma, è su questa strada che dobbiamo continuare”.

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