Categorie: Fisica e Matematica

Novità in arrivo sul Bosone di Higgs

Altro che prova di matematica dell’esame di maturità. Se c’è qualcuno che in questi giorni sta sudando dietro a conti e diagrammi, sono i fisici del Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra, sempre alle prese con il bosone di Higgs. E le tracce più ricercate sono quelle sulla famosa particella. I rumor riguardo all’Higgs, infatti, spuntano come funghi da blog e siti, perché si avvicina una data fatidica: quella dell’International Conference on High Energy Physics (Ichep, 4-11 luglio) di Melbourne, in cui verranno divulgati i nuovi, attesissimi dati. 

Le porte dei due esperimenti in corso all’ Lhc sull’Higgs, Atlas e Cms, sono sigillate come le bocche dei ricercatori. Intanto, però, in Rete si sparano cifre, si fanno commenti e si lasciano trapelare indiscrezioneaffidabili. New Scientist parla di una nuova ondata di higgsteria, mentre, dal New York TimesFabiola Gianotti – a capo dell’esperimento Atlas – fiata solo per dire “Per favore, non fidatevi di quello che riportano i blog”. Lo stesso fa Joe Incandela – portavoce di Cms – assicurando che “i risultati finali che saranno presentati a Ichep non saranno visti da nessuno prima degli ultimi giorni di giugno”. 

Facciamo un breve riepilogo. Dopo quasi mezzo secolo di ricerche, lo scorso dicembre è stato finalmente rilevato un primo segnale della possibile esistenza della particella prevista – e mai osservata – dal Modello Standard. Cioè, come ci ricorda il Cern, la teoria più accreditata “ che descrive i componenti primi della materia e le loro interazioni”. L’Higgs serve ai fisici perché, secondo questo modello, è la particella che conferisce la massa a tutte le altre. 

Bene, dopo innumerevoli scontri tra fasci di protoni all’interno dell’Lhc, alla fine del 2011, sia Atlas sia Cms hanno trovato le prime possibili tracce del bosone intorno a un valore di energia di 125 gigaelettronvolt(che ricade nel range dei valori possibili per l’Higgs, cioè non ancora esclusi da precedenti esperimenti, e che equivale a circa 130 volte la massa di un protone). Nel corso dei mesi, nuovi indizi sono giunti anche dall’acceleratore Tevatron di Batavia (Usa), e il Cern ha spinto sull’acceleratore in vista della prossima conferenza. Si pensa che, comunque vada, il responso sull’Higgs arriverà entro il 2012. 

Il che, però, non vuol dire necessariamente tra due settimane. In ogni caso, scrive il New York Times, “i nuovi dati mostreranno se [quello di dicembre] era un abbaglio o se siamo sulla strada giusta per individuare l’elusivo bosone. Se il segnale non c’è, dovremo arrenderci al fatto che la particella, almeno come è stata immaginata finora, non esiste; se, invece, il segnale è ancora lì, il lavoro è appena all’inizio”. 

Uno dei blog cui non bisognerebbe prestare attenzione è quello del fisico teorico Peter Woit della Columbia University di New York, secondo il quale i due esperimenti stanno osservando gli stessi dati di dicembre. E questa volta con una ben più alta significatività statistica. Il nome di chi gli avrebbe fatto queste rivelazioni, ovviamente, non viene divulgato. 

Woit parla di una significatività di 4 sigma contro il precedente di 3 sigma. Come spiega Wired.com, questo sigma è una misura della probabilità che quel picco a 125 gigaelettronvolt sia solo frutto del caso, e non dovuto alla reale formazione del bosone di Higgs. Con 3 sigma questa probabilità è dello 0,13 per cento (per questo si parla di indizi); con 4 è ovviamente inferiore, ma non siamo ancora al 5 sigma (0,000028 per cento) richiesto per trasformare l’indizio in scoperta

Nel frattempo, però, come riporta anche l’Istituto nazionale di fisica nucleare, dall’esperimento BaBar, presso lo Slac National Accelerator Lab in California, emergono dei dati che, Higgs o non Higgs, potrebbero far vacillare il Modello Standard. La faccenda è un po’ complicata: secondo la teoria, particelle chiamatemesoni B decadono producendo altre particelle, tra cui i bosoni W; questi, a loro volta, decadono in particelle tau e neutrini tau. Ecco, l’esperimento BaBar avrebbe osservato che si formano un po’ troppe particelle tau rispetto a quelle attese. “Sembra che nel Modello Standard ci sia qualcosa che non capiamo”, ha detto il portavoce dell’esperimento, Michael Roney, a New Scientist. Per ora, comunque, possiamo stare abbastanza tranquilli: i risultati non sono ancora statisticamente significativi. 

via wired.it

Credit immagine a Peter Ginter/ATLAS collaboration/CERN

Tiziana Moriconi

Giornalista, a Galileo dal 2007. È laureata in Scienze Naturali (paleobiologia) e ha un master in Comunicazione della Scienza conseguito alla Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Collabora con D la Repubblica online, Salute SenoLe Scienze, Science Magazine (Ed. Pearson), Wired.it.

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