Nuove regole per la chimica

    Sta facendo discutere da mesi politici, associazioni ambientaliste e industriali. Nell’aprile dell’anno scorso il commissario europeo all’ambiente, Margot Wallström, per sostenerne la necessità, mostrò pubblicamente i risultati dei propri esami del sangue, positivi a 28 sostanze chimiche di produzione industriale, compreso il Ddt. Stiamo parlando del Reach (Registration, Evaluation and Authorisation of Chemicals), il nuovo sistema europeo per il controllo delle sostanze chimiche – proposto in versione definitiva nell’ottobre dello scorso anno dalla Commissione europea – che punta a uniformare la legislazione sulle sostanze prodotte o importate nell’Unione Europea. 

    Il nuovo sistema non dovrebbe entrare in vigore prima del 2007 e sarà applicato a tutte le sostanze presenti sul mercato in quantità maggiori a una tonnellata, ovvero circa un terzo delle oltre 100 mila sostanze finora registrate. A oggi le industrie sono tenute a fornire informazioni solo per le cosiddette “nuove sostanze”, introdotte cioè nel mercato dopo il 1981, anno nel quale venne redatto il primo registro chimico europeo. Ma questi prodotti rappresentano soltanto l’1 per cento del totale delle sostanze chimiche esistenti. E sono un numero esiguo, 140 per la precisione, i composti chimici sottoposti finora a valutazione del rischio. “L’introduzione di Reach è senz’altro positiva”, commenta Pietro Tundo, professore di Chimica organica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e presidente di Inca (Consorzio interuniversitario nazionale “La chimica per l’ambiente”).

    “Finalmente”, prosegue il chimico, “si ragiona in termini di sviluppo sostenibile: non si possono moltiplicare indefinitamente le sostanze senza nemmeno tenerle sotto controllo. Mancava un monitoraggio diffuso e ora l’Europa, seguendo l’esempio statunitense, si dota di una normativa efficace”. L’introduzione di Reach potrebbe anche segnare un passo importante nella diffusione della cosiddetta “green chemistry”. “L’ideale infatti sarebbe che i composti chimici di origine industriale”, precisa Tundo, “si avvicinassero col tempo a quelli naturali, che è l’obiettivo di ricerca proprio del consorzio Inca: ciò significa migliorare gli stadi intermedi del processo di produzione, che spesso possono generare sostanze tossiche”.

    Di diverso avviso sembrano essere le associazioni industriali. Nelle osservazioni redatte da Confindustria si legge che “il sistema Reach risulta estremamente complesso, oneroso e di difficile applicazione da parte delle imprese” e si “esprime perplessità sull’analisi dell’impatto economico effettuato dalla Commissione”, visto che “da prime stime si deduce che le ripercussione del Reach nel nostro paese saranno particolarmente critiche”. “Ma è chiaro”, è la replica di Tundo, “che il sistema Reach non poteva venire concepito basandosi sulla logica del profitto. Il problema è che il nostro paese non è attrezzato per compiere le analisi approfondite richieste dal Reach, a differenza di molti altri paesi europei che invece stanno investendo in questa direzione, consapevoli dell’importanza a lungo termine che questo nuovo sistema riveste”.

    L’effetto della reazione degli industriali è d’altronde ravvisabile nelle stesse parole del commissario europeo per la ricerca Philippe Busquin, che nel dicembre scorso, in occasione di un convegno a Ispra, ha dichiarato che “dobbiamo essere certi che il Reach fornirà effettivamente gli strumenti per la tutela della salute umana e dell’ambiente, mantenendo e anzi sostenendo la competitività internazionale dell’industria chimica europea”. Malgrado nell’immaginario comune vengano spesso messe in contrapposizione, chimica e ambiente non sono incompatibili. “Basti pensare”, racconta Tundo, “che già nella seconda metà dell’Ottocento il processo Solvay per la produzione di carbonato di sodio consentì una sintesi chimica rispettosa dell’ambiente”.

    Potenziare la ricerca sulla “chimica verde” potrebbe essere anche un modo per rilanciare l’industria chimica italiana, che versa in uno stato di crisi. “Anche perché l’Italia”, conclude Tundo, “potrebbe rivendicare una primogenitura dell’idea di ‘green chemistry’ nella figura di Giacomo Ciamician, che a inizio Novecento ne enunciò le linee essenziali. Malgrado ciò la sensibilità per questi temi nel nostro paese rimane bassa”. E il primo convegno mondiale sulla “green chemistry”, organizzato dalla International Union of Pure and Applied Chemistry, di cui Tundo presiede il gruppo per la chimica verde, è in preparazione per il 2005. A Monaco.

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