Nuovi studi a favore del latte materno

Due studi, pubblicati on line sul New England Journal of Medicine, portano nuove evidenze a favore dell’allattamento al seno anche quando la madre è sieropositiva. Come già sostenuto da diverse ricerche pubblicate su autorevoli riviste, come The Lancet (Galileo, “Latte materno contro l’Hiv“), è possibile ridurre il rischio di infezione dei neonati senza rinunciare al latte naturale.

Nei paesi del Terzo Mondo, infatti, le madri sieropositive si trovano di fronte a un dilemma cruciale: svezzare il neonato al seno rischiando di infettarlo con il virus dell’Hiv, oppure praticare l’allattamento artificiale, privando però il piccolo della protezione immunitaria contenuta latte materno e, soprattutto, utilizzando come diluente acqua non sterilizzata.

Il primo dei due nuovi studi è stato condotto nello Zambia da un team di ricercatori della Columbia University (New York) e dell’Università dello Zambia. L’altro è stato effettuato dall’Università del Malawi in collaborazione con la statunitense Johns Hopkins University.

La ricerca svolta nello Zambia ha preso in esame due gruppi di neo madri sieropositive: un gruppo di 481 donne ha allattato al seno il proprio bambino fino al quarto mese di vita, mentre un altro gruppo, di 477 donne, ha proseguito l’allattamento anche nei mesi successivi. “La nostra ricerca ha dimostrato”, spiega la coordinatrice dello studio Louise Kuhn, “che l’allattamento naturale non solo riduce il rischio di mortalità da Hiv nei bambini che nascono sieropositivi, ma riduce anche la probabilità che i bambini vengano infettati, dopo il quarto mese, dalla madre sieropositiva. Questo secondo risultato è il più sorprendente e difficile da spiegare”. I ricercatori ipotizzano che l’interruzione brusca dell’allattamento al quarto mese porti a un aumento dei casi di mastite nelle donne. Questo tipo di infezione aumenterebbe la probabilità che i bambini nutriti con latte artificiale contraggano il virus qualora la madre conceda occasionalmente al piccolo il proprio latte, nella fase di svezzamento.

Lo studio effettuato in Malawi ha dimostrato, d’altra parte, che la somministrazione di farmaci anti-Hiv ai bambini allattati al seno riduce la probabilità che l’infezione sia trasmessa dalle madri sieropositive.  “I principi attivi alla base dei farmaci anti-Hiv, la nevirapina e zidovudina, vengono normalmente somministrati fino all’ottavo giorno di vita del neonato”, spiegano Taha E. Taha e Newton Kumwenda, coordinatori della ricerca, “ma prolungandone la somministrazione fino a 14 settimane abbiamo ottenuto una riduzione della probabilità di infezione in misura variabile dal 40 al 51 per cento, a seconda del cocktail di farmaci utilizzato”.

“Mi sembrano due studi che rispondono a domande molto utili e concrete per chi si trova a gestire in Africa sub-sahariana il problema della trasmissione verticale madre-bambino”, ha commentato Vittorio Colizzi, uno dei massimi esperti mondiali di Aids e docente di immunologia all’Università di Tor Vergata di Roma: “Il primo dimostra che il trattamento con farmaci antiretrovirali per alcune settimane dopo la nascita riduce del 50 per cento la probabilità di trasmissione del virus Hiv dalla madre al bambino; il secondo indica che lo svezzamento precoce non reduce la probabilità di infezione e quindi non andrebbe consigliato”. (i.n.)

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