“L’obesità è ormai un’epidemia mondiale”

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Nei Paesi ricchi e industrializzati in media circa il 20 per cento della popolazione è obesa. Ma la cattiva alimentazione è diffusa inaspettatamente anche nei Paesi in via di sviluppo, dove l’obesità coesiste paradossalmente con la malnutrizione. L’allarme è stato lanciato durante l’ultima conferenza della American Association for the Advancement of Science, da un gruppo di ricercatori, guidato da Marquisa LaVelle dell’Università di Providence.

Il boom dell’obesità

Le cifre sono preoccupanti: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il numero di persone obese nel mondo è passato da 200 milioni nel 1995 a 300 milioni nel 2000, e all’aumento contribuiscono in modo determinante Paesi come la Cina e il Brasile. E’ abbastanza per parlare di epidemia, e per iniziare a riflettere sulle sue possibili conseguenze. L’obesità, favorendo l’insorgenza di patologie cardiovascolari e di diabete, rischia di avere serie conseguenze per la salute pubblica e di mettere in crisi i sistemi di assistenza sanitaria, compresi quelli dei Paesi in via di sviluppo che già si trovano a combattere, con scarse risorse, il problema della denutrizione.

Programmati per risparmiare

“L’essere umano è programmato geneticamente per risparmiare. Prima di introdurre l’agricoltura e l’essiccazione della carne, abbiamo dovuto sviluppare la resistenza alla fame per vincere sugli animali. Così il nostro organismo si è abituato a mettere da parte. Non ci siamo ancora adattati all’apporto calorico quotidiano di cui ora possiamo disporre”, spiega Giorgio Tonini, endocrinologo dell’Ospedale Infantile Burlo Garofolo di Trieste. Imputare la diffusione epidemica dell’obesità unicamente a stili di vita sedentari o a diete sbagliate è quindi riduttivo. L’unico rimedio possibile è un intervento strutturale sulle abitudini alimentari, che inizi durante l’infanzia, e che veda un ruolo attivo delle istituzioni scolastiche. Tonini ha infatti condotto una delle prime ricerche su scala nazionale, rilevando come l’incidenza dell’obesità fra i ragazzi in età scolare fosse sensibilmente aumentata nel decennio 1987-1997: un aumento dal 22 al 27 per cento nel centro-sud e dal 17 al 19,5 per cento nel nord.

Ricerca e prevenzione dell’obesità tra i banchi scuola

Proprio la scuola è al centro del progetto Bravo, un’iniziativa a metà strada tra ricerca e prevenzione condotta ad Avellino dall’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Cnr in collaborazione con alcune scuole elementari. Il progetto, diretto da Gianvincenzo Barba, ha coinvolto un campione di 600 bambini fra i 3 e i 10 anni. La misurazione dei principali indici antropometrici, unita a un’indagine sulle abitudini alimentari e sull’attività fisica, ha permesso di rilevare un rischio di sovrappeso e obesità in oltre il 50 per cento del campione.

Lo studio proseguirà con un programma di informazione alle famiglie, e una nuova indagine dopo un anno, per testare l’efficacia della scuola come luogo di informazione e prevenzione. Secondo Barba, “le dimensioni del campione obbligano a essere molto cauti con le previsioni numeriche. Ma sono sicuramente sufficienti a lanciare un allarme per il futuro”. Per inciso, la Campania è la regione italiana dove è più alto il rischio obesità, con oltre il 40 per cento della popolazione sovrappeso. E questo, sempre secondo Barba, perché è proprio dove la dieta mediterranea era più radicata che le nuove abitudini alimentari, frutto di un maggiore flusso di denaro e della globalizzazione del mercato, hanno prodotto gli squilibri più profondi.

Obesità faccia oscura dello sviluppo economico

La situazione italiana, insomma, riflette su piccola scala quella del resto del pianeta: dove una nuova, maggiore disponibilità economica arriva a cambiare improvvisamente il regime alimentare, il problema dell’obesità esplode. Una conseguenza indesiderata dello sviluppo economico, che rischia di rivelarsi, se trascurata, una vera e propria bomba a orologeria per la salute mondiale.

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